La riforma del MES ha a che fare con la prossima scoppola delle tasse agli italiani di cui nessuno parla

MES

Oggi la Redazione di ProiezionidiBorsa affronterà la riforma del MES. Ha a che fare con la prossima scoppola delle tasse degli italiani di cui nessuno parla. Da giorni un tema di forte dibattito è legato alla riforma del MES. Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: un conto è il c.d. “MES sanitario”, ossia le risorse, sempre del MES, il solo vincolo di destinazione sanitaria.

Questo non ha condizionalità di sorte e non è l’oggetto delle discussioni odierne. Nella primavera scorsa sono state stanziate delle somme per gli Stati membri (36 miliardi di euro per l’Italia) che ne avessero fatto richiesta. Ma sul suo utilizzo è risaputo il secco no di una delle due anime della maggioranza di Governo.

Poi c’è il MES vero e proprio, conosciuto anche come Fondo Salva-Stati. Esso poggia su due linee di credito ed è su una delle due che ci sono delle riforme in atto. Gli odierni dibattiti in Parlamento si focalizzano infatti su questo tema. Cerchiamo allora di capire perché la riforma del MES ha a che fare con la prossima scoppola delle tasse degli italiani di cui nessuno parla.

I contenuti del MES

Il c.d. Fondo Salva-Stati fu istituito all’indomani della crisi dei debiti sovrani, agli inizi del decennio scorso. L’ESM ha in dote 500 miliardi di euro, anche se solo 80,5 di essi sono stati effettivamente versati dagli Stati membri. Il fine era alquanto semplice e chiaro: risolvere il più velocemente possibile (se non proprio in anticipo) le future crisi che avrebbero coinvolto l’UE.

In sintesi, gli Stati che si dovessero trovare in seria difficoltà finanziaria, possono accedere al MES sottoscrivendo una lettera d’intenti. Un decennio fa, quando all’ESM fece ricorso la Grecia, fu invece sottoscritto un memorandum d’intesa.

Aldilà della forma, (ossia “d’intenti” al posto di “memorandum”) la linea di credito cui accedono i paesi non virtuosi sono soggette a condizioni più stringenti. Ossia il rispetto di certi parametri, vale a dire:

a) un rapporto deficit/PIL sotto il 3%, nei due anni precedenti la richiesta. Secondo autorevoli stime, tale rapporto in Italia per quest’anno sarà pari all’11% circa, mentre dovrebbe scendere al 5,6% nel corso del 2021;

b) un rapporto debito/PIL sotto il 60%. Oppure una riduzione, nel biennio precedente, di un ventesimo annuo rispetto al 60%. Ricordiamo che tale rapporto per l’Italia oggi veleggia nell’ordine del 160% circa;

c) un saldo strutturale che non sia inferiore a uno specifico parametro, diverso per ogni Stato.

I tre punti della discordia

Molti esperti e addetti ai lavori hanno fondamentalmente sollevato critiche in merito a tre presici punti della riforma.

Il primo, quello in cui si fa riferimento (sia pure a casi eccezionali) al concetto di “private sector involvement” (PSI). Ossia quello che rimanda alla ristrutturazione del titoli di Stato posseduti dai privati.

Il secondo è quello che rimanda all’introduzione delle c.d. CACs, ossia le Clausole di azione collettiva. Anche queste facilitano la ristrutturazione del debito.

Infine, il terzo punto è quello legato all’equilibrio dei poteri tra Commissione e MES. Quest’ultimo, ricordiamolo, è un organo intergovernativo.

Vediamo di capire perché la riforma del MES ha a che fare con la prossima scoppola delle tasse agli italiani di cui nessuno parla

Molti esponenti del Governo, Premier incluso, si sono affrettati a dire che le riforme in questione attengono a sfere che non riguardano l’Italia. Come se si stesse votando per faccende che riguardassero altri Stati, i cui parametri di bilancio fossero peggiori dei nostri.

Di fatto, però, la situazione economica italiana, quanto quella del suo debito pubblico è alquanto seria. In passato non è mancato chi ha sostenuto che per abbattere questa montagna bisognerebbe ricorrere ad una sua ristrutturazione. Il MES, senza girarci intorno, dovrebbe servire anche a questo.

Il MES e le cose non dette

Ora, una possibile ristrutturazione del debito sarebbe una potenziale bomba per il nostro Paese. I grandi fondi istituzionali che acquistano il debito pubblico, al solo sentore di MES potrebbero vendere i titoli del debito pubblico, mandando alle stelle lo spread. Ed astenendosi dall’acquisto dei nuovi almeno fino a quando le acque non si placherebbero. Senza acquirenti di titoli pubblici sarebbero a repentaglio gli stipendi degli statali, le pensioni, etc.

In pratica una situazione molto simile a quella che si creò nelle settimane prima delle dimissioni del Premier Berlusconi. Mancavano soldi in cassa e, in fretta e furia, si nominò un Governo di tecnici, guidato dall’economista e senatore Mario Monti.

Il new deal fu fatto di tagli alle uscite e nuove tasse, tra cui la famosa imposta di bollo su c/c e Buoni postali. Che al prossimo 31 del mese pagheranno milioni di italiani (qui al link un approfondimento). L’Esecutivo e le opposizioni lo sanno bene. Quindi, forse, per non arrivare mai a bussare al MES e alle condizioni che esso contiene, si passerà prima dalle tasche degli italiani. Tasse o patrimoniale o prelievi forzosi sui conti corrente: è più o meno sempre la stessa cosa.

Ecco dunque perché la riforma del MES ha a che fare con la prossima scoppola delle degli italiani di cui nessuno parla.

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