La riforma che servirebbe realmente e le riforme sussidiarie

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All’ordine del giorno dell’agenda politica italiana ed internazionale le prospettive di riforma ed i fondi europei.

Due temi strettamente legati, dal momento che, a quanto pare, anche Francia e Germania sono favorevoli alla concessione di fondi e sovvenzioni al nostro paese, ma solo a condizione che l’Italia, come si suol dire, faccia bene i compiti a casa.

Compiti a casa che significano soprattutto riforme.

Ma quali ed a cosa servirebbero?

E queste riforme sarebbero davvero da considerare come una luce in fondo al tunnel?

La riforma che servirebbe realmente e le riforme sussidiarie

Parlare di riforme significa, in realtà, tutto e niente.

Riformare significa, in sostanza, modificare le cose, ad esempio la normativa in determinate materie, ed in tal senso vengono in mente il mercato del lavoro, la pubblica amministrazione, il sistema fiscale, e via di questo passo.

Tanti temi che tecnici e politici, periodicamente, affrontano per modificare, appunto, qualcosa.

Ma una riforma, in quanto tale, non è necessariamente qualcosa di positivo.

Infatti, le modifiche che si apportano a determinate materie, possono andare in una direzione o in un’altra.

Tutto dipende, quindi, da come vengono modificate le cose.

E, quindi, a cosa riconducono la riforma che servirebbe realmente e le riforme sussidiarie?

Occorre considerare, per comprendere meglio il tema, che quando si parla di riforme, solitamente si fa riferimento a settori che dovrebbero consentire un miglior sviluppo economico.

Ecco, quindi, che se pensiamo al sistema fiscale, ad esempio, o alla materia imprenditoriale, indubbiamente alcune misure potrebbero servire per il rilancio economico, o quanto meno per uno sviluppo teoricamente ipotizzato.

Esiste tuttavia un ma grosso come una casa.

Eh sì, perché non è tutto oro ciò che luce.

Come abbiamo detto le riforme possono migliorare, ma anche peggiorare le cose in termini di sviluppo.

Ma non solo. Altro fondamentale obiettivo, verso il quale ogni riforma dovrebbe guardare, riconduce ai famosi parametri del debito.

E, quindi, una riforma che porti sviluppo economico dovrebbe servire per migliorare la situazione dei conti pubblici e del rapporto tra debito e pil. Facciamo quindi un passo in più nella nostra analisi, e capiamo perché possiamo distinguere una riforma che servirebbe realmente ed altre sussidiarie.

La riforma che servirebbe realmente e le riforme sussidiarie

A ben vedere, tutte le riforme che possono avere un qualche impatto di tipo economico, o comunque anche di questo tipo, possono modificare in meglio o peggio le cose.

Ma nessuna di queste possiede una caratteristica.

Quella di garantire, e sottolineo garantire, la solvibilità del debito pubblico.

Ed ecco, quindi, che si spera sempre che qualche riforma, contribuendo in misura decisiva al pil di un paese, contribuisca al tempo stesso prima a migliorare, poi a risolvere le problematiche anche delle finanze pubbliche.

Ma queste sotto tutte possibili riforme solo sussidiarie.

Cioè riforme che possono aiutare, che possono limitare il problema, ma non garantirne la soluzione.

È  come se ci domandassimo se le obbligazioni di un’azienda sono solide.

Potremmo dire che lo sono in rapporto alla solidità dell’azienda, ma sarebbe diverso dire che, anche se l’azienda andasse in default, i titoli sarebbero ugualmente garantiti, perché, ad esempio, il pagamento viene garantito da qualche altro ente.

E parimenti, cosa è che potrebbe davvero essere garante del debito pubblico di un paese?

Non il pil, che potrebbe talora andare bene, talora andare male.

Parimenti, non potrebbe garantirlo nessuna riforma di un qualche settore, che potrebbe funzionare, o meno.

Del resto, basti appunto pensare a cosa succede in caso di pandemia.

Ebbene no, nulla di tutto questo può garantire la sostenibilità del debito pubblico.

Ma esiste qualcosa che, a prescindere da cosa succeda, fosse anche una guerra atomica su vasta scala, o dieci pandemie, garantirebbe la solvibilità del debito.

Gli economisti lo sanno bene, si tratta della banca centrale.

Se la banca centrale è autorizzata a creare determinati quantitativi di moneta, senza correlata emissione del debito, come dire, il gioco è fatto.

Di qui la mia proposta che la banca centrale, potrebbe anche essere la BCE o la banca d’Italia, su delega della BCE, crei ogni anno un trentesimo dell’attuale debito pubblico italiano. Un importo pari a circa 86 miliardi.

Questa proposta, di cui ho parlato altre volte sotto molteplici aspetti, garantirebbe un pieno rientro dall’attuale debito in 30 anni.

Al tempo stesso, quindi, si potrebbero liberare risorse per un importo pari all’attuale debito, che va verso i 2700 miliardi, senza peggiorare di un solo euro le finanze pubbliche. Senza alcuna necessità di Mes o qualsivoglia altra tipologia di fondo o risorsa concessa dall’UE.

La solita obiezione del rischio inflattivo, come dimostrato dalla storia, non sussiste, soprattutto in presenza dell’indirizzamento della politica monetaria espansiva verso lo sviluppo economico, orientato alla realizzazione di prodotti o servizi.

Del resto, la Fed in USA ha forse generato chissà quali spinte inflazionistiche?

E la BCE in Europa, creando moneta tramite acquisti di titoli sul secondario?

Un dogma di fede?

Volendo considerare la genesi dell’UE e dei relativi trattati economici, è ben noto che i fondamenti riconducono soprattutto alla contrarietà verso questo tipo di strumento di politica monetaria, ma appunto.

Dobbiamo domandarci se i trattati istitutivi dell’UE siano un dogma di fede, universale e immodificabile, oppure uno strumento pratico, legato alla esigenza di raggiungere determinati obiettivi.

Personalmente, mi parrebbe logico fornire la seconda risposta.

Ma allora, anche i trattati UE altro non sono che uno strumento giuridico e, quindi, come ogni strumento di questo tipo, essi stessi necessitano, per primi, di essere all’altezza dei tempi e di quelle riforme che le situazioni richiedono.

Proprio per questo, la riforma per antonomasia da fare non riguarda questo o quel settore di questo o quel paese dell’eurozona.

Ma la riforma del meccanismo di politica monetaria nel suo complesso.

Il resto è accessorio e complementare, e potrebbe anche portare a risultati in direzione opposta a quella auspicata.

Questa è un’occasione unica, che l’UE dovrebbe cogliere.

Diversamente, se si continua a pensare di risollevare le problematiche finanziarie con questo o quel fondo, con la riforma di questo o quel settore, permanendo l’attuale politica monetaria, diciamolo chiaramente.

Si rischiano solo due cose. Di fare complessivamente solo un buco nell’acqua e di non saper bene che pesci prendere.

Proprio come il governo Conte in questo periodo.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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