La musica come risveglio: conversazione con il Maestro Roberto Cacciapaglia

Roberto Cacciapaglia

“Mi interessa una musica che possa essere utile, un servizio per le persone”. La Redazione di ProiezionidiBorsa ha l’onore di avere come ospite il compositore e pianista Roberto Cacciapaglia. Il Maestro ci apre le porte della sua casa sul mare in Sicilia e ci racconta dei suoi ultimi lavori.  Ma più di ogni altra cosa ci regala un’idea inesplorata di musica, in profondo dialogo col mondo e con ciò che vi accade.

Una stanza, un pianoforte, un microfono binaurale che permette la registrazione tridimensionale del suono. Da questo insieme scaturisce “Days of experience” il suo ultimo brano inedito. A cosa si riferiscono “i giorni dell’esperienza”?

Mi riferisco a un’esperienza non solo mia, ma l’esperienza di tutti noi. Parlo del Covid 19, del lockdown, un’esperienza che per tutti è stata uno shock. Parlo di giorni dell’esperienza perché a volte nella vita bisogna cogliere anche le occasioni che sono tragiche. Solitamente siamo tutti molto occupati nelle faccende quotidiane, e questo spesso ci fa perdere alcuni aspetti importanti. Dal punto di vista della musica, poiché penso che sia un mezzo, utilizzare il suo potere, quello del suono come strumento di condivisione introspettivo, di evoluzione, è importante soprattutto adesso. Personalmente è stata un’occasione importante per soffermarmi su ciò che si può fare per gli altri.

In che modo la tecnologia si mette al servizio della musica e del suono? E come è cambiato questo approccio dagli anni ’70 a oggi?

La differenza sostanziale per me è stata cercare sempre di cogliere e approfondire quello che la scienza del suono metteva a disposizione. Così ho iniziato collaborando con lo studio di Fonologia della Rai, con il CNR di Pisa. Personalmente negli ultimi anni, proprio per il lavoro fatto su di me, di evoluzione personale, sono interessato a un gesto sonoro che tenga conto dell’essere umano in modo completo. Non solamente l’idea intellettuale, ma anche l’aspetto fisico ed emozionale della musica. Sto quindi utilizzando una tecnologia che non produce suoni virtuali, sintetici, ma lavora sul suono acustico, prodotto dalla vibrazione dei corpi insieme all’emozione. Un gesto che muove delle energie che sono connesse a una volontà, a uno stato di presenza. Qualcosa che in gran parte col suono sintetico si va a perdere. Quindi la ricerca della purezza del suono, un suono acustico con l’esperienza dell’elettronica.

I suoi primi lavori univano sintetizzatori, i computer, l’avanguardia della musica cosmica tedesca, la voce, le tastiere e anche la danza in occasione di un balletto. Poi ritorna alla musica senza parole, mentre oggi il suo ultimo album è stato scritto per piano solo. Come si è evoluto il suo modo di comporre e perché oggi giunge all’intimità di un singolo strumento?

Il pianoforte è come uno specchio ad occhi chiusi. Uno strumento che diventa il mio percorso di evoluzione, la via, uno strumento di esplorazione dell’intimità. Se riesco a raggiungere intimamente e profondamente un luogo dentro di me dove esiste questo suono al pianoforte, questo suono esce come una freccia e risuona nel luogo e si incontra col pubblico. È il principio della musica sacra, sebbene oggi io tolga le connessioni storiche e geografiche per lasciare la sacralità della musica. Un suono primordiale, di meditazione, che disconnetta il turbinio di pensieri.

“La musica è l’arte dell’invisibile”. Dove si trova per Lei l’inizio del suono? E che ruolo ha il silenzio?

Prendo spunto dal mio ultimo lavoro sulla Divina Commedia e dal cammino creato da Dante. Egli fa camminare il suono con l’evoluzione: nell’Inferno non c’è suono, solo cacofonie, grida, lamenti. Nel Purgatorio cominciano i primi suoni, l’armonia, la voce, la condivisione. Via via il suono comincia a crescere fino ad arrivare in Paradiso. Lì le anime non hanno bisogno di parole, e allo stesso modo il suono non è necessario. Il silenzio presuppone l’assenza di suono. Ma nel paradiso il suono raggiunge la dimensione dell’eterno. Dante descrive molto bene questa evoluzione, fino al punto in cui suono e parola non sono più necessari. Non è un silenzio intellettuale, ma un silenzio totale dell’essere. Un silenzio che io pratico prima di comporre e suonare. Il silenzio è lo spazio, il punto di partenza. Un mare calmo da cui può sorgere qualcosa di più profondo e condiviso.

Dove si colloca la musica oggi, in quale spazio reale, mentale o politico? Ha un ruolo in cui il compositore/musicista è mosso da una vocazione personale, ma anche da una missione?

Ci sono tanti tipi di musica e chi ascolta coglie e sceglie quello che gli necessita. Ci sono musiche che fanno distrarre, altre che ti portano lontano da te. Un altro senso della musica ricerca il risveglio, una musica che ti fa ritornare a te stesso e riscoprire la tua natura. Questo per me dovrebbe essere il ruolo della musica. Parlando della mia esperienza, del mio pubblico, c’è questo grande desiderio di risveglio. E le distinzioni culturali, di classe, vengono abbattute e le persone diventano come un’unica voce e un unico ascolto. La musica diventa un’ispirazione, non una musica fine a se stessa, che sia bella o brutta, interessante, moderna. Mi interessa una musica che possa essere utile, un servizio per le persone. Ciò che il suono può fare è stemperare la divisione e creare un ponte tra noi.

Quanta importanza hanno avuto gli incontri in questo suo percorso? Musicisti, colleghi, il pubblico, ma anche una melodia, uno dei suoi dischi che l’hanno segnata.

Beh, sono stati moltissimi gli incontri. Parlando di musica, ultimamente come all’inizio dei miei studi, sto riscoprendo J. S. Bach nelle esecuzioni di D. Lipatti dove trovo una grande spiritualità. La musica di Gurdjieff è stata ed è ancora l’influenza più grande della mia musica. In passato mi colpì Terry Riley, il più spirituale tra i minimalisti, col quale ho fatto un concerto diventato un cd. E la persona straordinaria di Franco Battiato, che ho conosciuto quando ero ragazzino al conservatorio. Studiavo musica elettronica e lui ne era molto interessato. Così siamo diventati amici e abbiamo collaborato in molte occasioni. Poi la musica indiana e i raga, la musica tibetana e degli indiani d’America. Per quanto riguarda le mie composizioni, nella mia prima opera, Generazioni del Cielo, c’è un pezzo finale “Last Day”, a cui sono molto legato.

Nel 2013 nasce l’Educational Music Academy. Cito dal sito ufficiale: “l’obiettivo è dar voce e supportare chi oggi vuole esprimersi e manifestarsi attraverso la musica”. In che momento della sua carriera arriva questo progetto e perché?

Circa 10 anni fa mi arrivavano, come accade ancora, tantissime richieste da parte di giovani studenti. Mi chiedevano consigli o di venire a lezione. A un certo punto erano così tanti che ho pensato di creare un ponte tra la scuola, il conservatorio, e ciò che accade nella vita vera della musica. Mancava, secondo me, un elemento di connessione che trasformasse la scuola in una professione. Per questo la considero un’accademia non accademia. Oggi l’Accademia accoglie compositori, musicisti, cantanti e il lavoro dei Maestri viene svolto sui loro brani. L’obiettivo è cogliere tutti gli aspetti della professione, dalla forma dei brani all’interpretazione, poi l’editing e il mixaggio, l’approccio al suono fino alla parte psicologica ed emotiva. In questo arco di tempo i risultati sono stati importanti e soddisfacenti.

Leggo in una sua intervista che, da qualche tempo, durante i concerti fa intonare al suo pubblico un LA all’unisono. Le posso chiedere qual è il significato di questo gesto?

È l’eliminazione della concezione che c’è tra interno ed esterno. Mi spiego meglio. Nello spazio non ci sono divisioni e attraverso questo gesto, far sovrapporre la voce del pubblico al canto del diapason, del pianoforte e degli archi, si crea un’unione profonda, e si attiva come nella preghiera all’unisono, come un rito, uno spazio d’incontro. Non c’è una direzione univoca, di chi suona e di chi ascolta, ma un incontro profondo, liberatorio, che scopre una realtà fisica nuova. Questo secondo me ne fa un’arte intima ma anche di grande condivisione, primordiale ma anche modernissima.

Roberto Cacciapaglia è pianista e compositore. Sin dagli esordi, negli anni anni ’70, si è dedicato alla sperimentazione, muovendosi tra musica sacra e musica elettronica, passando per la musica cosmica tedesca. Ha collaborato con musicisti e istituzioni del panorama internazionale come Franco Battiato, Giuni Russo, Tangerine Dream, Terry Riley, Gianna Nannini, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il Teatro Comunale di Bologna, il Festival di Spoleto.

Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo Tree of life (2015), nato per lo show dell’Albero della Vita- EXPO 2015, Diapason – Piano solo (2020), e l’ultimo singolo Days of Experience.

Nel 2021, in occasione della celebrazione per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, ha composto Cammino Stellare per la mostra “L’amore che move il sole e l’altre stelle”, ideata da Massimiliano Finazzer Flory presso CityLife Milano.

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