La guerra dei dazi fra Usa e Cina passa ai cambi valutari: attacco allo Yuan e contrattacco al Dollaro

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Pare proprio che dai dazi la guerriglia finanziaria tra USA e Cina si stia trasferendo in ambito valutario.

In effetti Trump pare volere infierire su una Pechino già in affanno.

Infatti la Cina sta già sotto sforzo per sostenere la propria economia ed evitare che un fisiologico rallentamento di trasformi in qualcosa di più importante.
Le manovre monetarie espansive stanno però mettendo sotto pressione lo yuan, rendendo più arduo il compito dei cinesi che debbono stimolare e sostenere la crescita senza innescare deflussi di capitali che sarebbero destabilizzanti .

Lo yuan infatti si è indebolito fino a scendere sotto i 6,93 dollari per dollaro questa settimana, arrivando a distanza ravvicinata da un  minimo risalente al gennaio 2017.

Il tutto accade  dopo che la Cina si è mossa nel fine settimana per veicolare più fondi per le banche nazionali.
La valuta si è brevemente ripresa a circa 6,91 nella negoziazione di oggi sia  nella Cina continentale che Hong Kong dopo che il tasso sui prestiti a breve termine è salito quasi per i fatti suoi.

E pensare che le mosse di questa settimana sono arrivate dopo che la People’s Bank of China ha annunciato domenica che ridurrà l’ammontare delle riserve che la maggior parte delle banche commerciali sono tenute a detenere di 1 punto percentuale, liberando 1,2 miliardi di yuan (quasi 175 miliardi di dollari) in contanti per le banche a prestare e aiutare sostenere l’economia cinese (fonte WSJ).

Che dire al riguardo quando i cinesi contano il punto percentuale di riserve da smuovere o meno mentre i competitors occidentali dalla deregulation in poi manco più sanno cosa sono le riserve….

Nel frattempo come riferisce Bloomberg da qualche giorno in Cina sono in atto restrizioni agli acquisti di beni di lusso stranieri da parte dei cinesi, anche all’estero. Secondo voci, riportate da social media locali, le autorità aeroportuali stanno applicando tariffe doganali più alte sui prodotti comprati all’estero.
Gli effetti si sono fatti sentire immediatamente con cali vistosi suKering,Lvmh ed anche titoli italiani quali Moncler , Salvatore Ferragamo e Brunello Cucinelli hanno pagato lo scotto.

E’ certamente fastidioso che la guerra dei dazi introdotta da Trump finisca per avere effetti anche su aziende di paesi come il nostro che invece hanno, specie negli ultimi tempi rafforzato il proprio legame con Pechino.

Questa situazione suggerisce che un ritorno agli accordi bilaterali come coltivammo con grande successo nel post dopo-guerra e prima della Unione Europea sarebbe quanto mai attuale e necessario a prescindere dagli sviluppi del rapporto dell’Italia con Bruxelles.

Subire passivamente altrui iniziative che ci arrecano danni di riflesso senza fare valere il proprio peso specifico come grandi importatori e di conseguenza esportatori ma senza dazi reciproci finisce per creare una penalizzazione univoca a nostro sfavore.

Situazione sulla quale è necessario intervenire con “correntezza” perché pare proprio che Trump sia soltanto alle prime mosse di questa battaglia.

A  giorni la Casa Bianca pubblicherà un nuovo elenco di prodotti colpiti da tasse all’ingresso negli Stati Uniti e non solo, aggiornerà anche le tabelle delle percentuali di tassa applicata.

Restare passivi non si può. Perché i cinesi, per ritorsione, hanno già cominciato a smobilizzare posizioni in dollari ma a noi non resta che la via della diplomazia.

 

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