La globalizzazione è morta: come investire nella deglobalizzazione e vivere felici

Trump

La globalizzazione è morta: come investire nella deglobalizzazione e vivere felici? Siete tra coloro che credono che la pandemia cambierà tutto? Che nazionalismi e sovranismi saranno il “new normal”? Il  protezionismo alla Trump sarà la regola dei prossimi anni? Che lo siate o meno, il corretto orizzonte temporale è quello a lungo termine. Vediamo se la globalizzazione sia veramente morta, e se occorra investire invece nella deglobalizzazione, e come farlo.

Come è nata la globalizzazione? Scommettiamo che rispondere a questa domanda vi risulterà quantomeno difficile? E non perché voi non abbiate le competenze per rispondere, per carità, ma solo perché non ci si pensa. E, quando lo si fa, si cercano motivazioni spesso astruse ed assurdamente complicate. La globalizzazione, nella sua essenza, è infatti nata grazie all’aumento degli investimenti diretti esteri nelle varie nazioni del mondo.

Da parte di chi?

Ma di chi aveva i soldi, ovviamente. Ciò, evidentemente, era possibile solo alle nazioni sviluppate. Le quali hanno iniziato ad investire nelle nazioni emergenti, delocalizzando le produzioni manifatturiere in luoghi dove la manodopera costava frazioni di quanto costasse nelle nazioni di origine. Ed in nessuna nazione del mondo questo è avvenuto come in Cina, naturalmente. E nel resto del sud-est asiatico, altrettanto chiaramente. Ma è di ogni evidenza come l’Impero di Mezzo, con la sua enorme popolazione, che nel 1978, quando la Cina si è aperta al mondo, viveva per la gran parte sotto la soglia di sussistenza, fosse il destinatario principale di questi investimenti.

Ebbene, la chiusura globale, il famoso lockdown, pare aver cambiato questo paradigma.

Non solo. La Cina, nel corso degli anni, è cresciuta in maniera impressionante. E ha iniziato, essa stessa, ad investire all’estero. E se prima della pandemia gli investimenti cinesi erano visti di buon occhio, oggi non è più così. Se prima della pandemia la Cina aveva lanciato la “One Belt, One Road Initiative” (la Nuova Via della Seta), oggi il denaro cinese è accettato molto meno, sia quantitativamente che qualitativamente. Si sta infatti assistendo all’emergere della tendenza dei paesi a proteggere i loro “campioni nazionali”, troppo spesso minacciati dai “soldi facili” cinesi.

Prendete ad esempio l’India. Nel subcontinente è stata approvata una nuova legislazione che limita gli investimenti diretti esteri, rendendo più complessi quelli provenienti dalla Cina. In Europa, Germania e Spagna hanno inasprito le loro regole sugli investimenti diretti esteri. Hanno infatti imposto un limite del 10% all’ingresso in aziende strategicamente importanti. Questo per la preoccupazione che gruppi stranieri approfittino delle valutazioni più contenute, al momento, del mercato azionario per espandersi tramite operazioni di fusioni e acquisizioni. La globalizzazione, perciò, è davvero morta? Come investire nella deglobalizzazione e vivere felici?

La globalizzazione è morta: come investire nella deglobalizzazione e vivere felici?

Tecnologia e innovazione sono state accelerate dalla pandemia. Senza dilungarci, la tecnologia ci ha tenuto vivi ben più di altro. Pensate come sarebbe stato stare due mesi in casa solo con radio o televisione. Ed invece pensate a tutto quello che avete fatto, o potuto fare, grazie ad Internet ed alle tecnologie ad essa collegate. Tecnologia e innovazione sono destinate a essere relativamente vincenti, nel lungo termine. Online banking, e-commerce, streaming video e di intrattenimento, e gaming online.

Questi sono tra i settori chiave del futuro.

Settori che hanno ricevuto un impulso formidabile dall’obbligo di stare chiusi in casa e provare a dover rimanere connessi col mondo là fuori solo attraverso la Rete. E per quanto riguarda i posizionamenti del portafoglio? Alleggerire il commercio globale. Investire sulle società che esportano poco ed hanno il core business sul commercio interno. Investire per il lungo termine sarà la chiave. L’orizzonte di investimento più lungo costituisce un vantaggio competitivo fondamentale. E’ importante chiedersi come sarà il mondo tra cinque, dieci, quindici anni, e quali società ne trarranno vantaggio.

Bisogna guardare avanti.

Ma la deglobalizzazione avrà anche difetti, se realmente ci sarà. Lo spostamento dalla deregolamentazione alla regolamentazione sarà evidente (lo è già). Ci sarà ancora aumento dell’intervento governativo. E questo comporterà non solo tasse molto più alte per famiglie e imprese, ma anche molta più regolamentazione sulle aziende. A noi non sembra una cosa positiva, in fin dei conti. Ed a voi?

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