La fiammata inflattiva prosegue il suo corso a livello globale e diventa la fonte di preoccupazione principale

Inflazione

La fiammata inflattiva prosegue il suo corso a livello globale e diventa la fonte di preoccupazione principale per i policy-maker, dopo che gli stessi hanno negato, per molto tempo, i rischi correlati ad un aumento permanente dei prezzi.

La situazione più critica è, senza dubbio, quella che si sta osservando negli Stati Uniti, dove l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è salito, nel mese di settembre, del +0,4% su base mensile, un aumento più elevato dell’atteso +0,3%, mentre su base annuale l’indice è salito al +5,4%, rispetto al +5,3% atteso, il valore più alto dal gennaio 1991. Non è un aumento dovuto soltanto dall’impennata dei costi energetici e degli alimentari, che pure hanno avuto un ruolo determinante all’aumento dell’inflazione complessiva, se si pensa che il “core CPI”, ovvero l’indice dei prezzi al consumo che esclude i prezzi delle componenti più volatili del paniere (energia e alimentari), è anch’esso salito del +4,0% su base annuale.

Peggio ancora è andata all’indice dei prezzi alla produzione (PPI), salito, sempre a settembre, del +8,6%, dal precedente +8,3%, con un aumento su base mensile pari al +0,5%, leggermente al di sotto del +0,6% atteso. La recrudescenza inflazionistica è stata dovuta principalmente all’aumento dei prezzi del gas, ma anche all’accelerazione della crescita dei salari. Sul mercato del lavoro, infatti, le cose non vanno certamente al meglio, se si pensa che il numero di lavoratori che hanno lasciato volontariamente la loro occupazione ha raggiunto un livello record ad agosto, con almeno 10,4 milioni di vacancies non riempite. Con questi presupposti, l’inflazione salariale è quindi destinata a salire ulteriormente.

La fiammata inflattiva prosegue il suo corso a livello globale e diventa la fonte di preoccupazione principale

Ma l’impennata inflazionistica è proseguita anche nell’eurozona. In Germania, il CPI è rimasto invariato al +4,1% su base annuale, il livello più alto dal 1993, mentre la variazione su base mensile è stata nulla. L’indice dei prezzi all’ingrosso è, invece, salito al +13,2% dal precedente +12,3%. Un altro record.

Su base mensile, l’aumento maggiore del CPI si è verificato in Spagna, dove i prezzi al consumo sono saliti del +0,8% e su base annua del +4,0%, in netto aumento dal precedente +3,3%.

Un po’ meglio è andata in Italia, dove il CPI è diminuito del -0,2% su base mensile, nonostante sia salito al +2,5% su base annuale, dal precedente +2,0%, ai massimi livelli dal novembre 2012, e in Francia, dove il CPI è diminuito del -0,2% sempre su base mensile, nonostante sia salito del +2,2% su base annuale, dal precedente +1,9%.

I banchieri centrali, sia quelli della Federal Reserve che quelli della Banca Centrale Europea, stanno continuando la loro strenua difesa dell’idea che l’inflazione è soltanto un fenomeno transitorio.

Una guidance, questa, utile per giustificare il mantenimento dell’attuale stance ultra-espansiva di politica monetaria.

Tuttavia, man mano che le settimane passano, molti di essi si stanno convincendo che il mantra della temporaneità dell’inflazione si scontra con l’evidenza dei fatti.

È il caso della BCE, dove è in atto un acceso confronto di posizioni tra le “colombe”, guidate dalla presidentessa Christine Lagarde, e i “falchi” guidati dal banchiere olandese Klaas Knot, il quale ha dichiarato apertametne, proprio la settimana scorsa, che l’inflazione dell’eurozona potrebbe presto eccedere le aspettative e, per questo motivo, sarebbe necessario che Francoforte riduca al più presto i suoi stimoli monetari legati ai due programmi di Quantitative Easing.

Chi ha ragione? Difficile dirlo. È opportuno però ricordare che agire per tempo nel controllare l’inflazione, tramite la riduzione dell’offerta di moneta e l’aumento dei tassi d’interesse, è una mossa fondamentale per evitare che la situazione sfugga di mano e si rischi di condannare l’economia a una situazione di stagflazione più o meno simile a quella osservata negli anni Settanta con gli shock petroliferi. In un ambiente economico incerto come quello attuale, sarebbe quindi fondamentale prendere decisioni sui dati attesi del breve, piuttosto che del lungo, periodo.

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