Innalzare la tassazione dei titoli di Stato è operazione spesso vana. I motivi e le conseguenze di siffatte politiche

titoli di Stato

Tra i temi principali discussi alcuni giorni fa da Draghi con una delegazione di partiti del centro-destra, c’era quello di un innalzamento possibile della tassazione sui titoli di Stato.

Si è trattato di un argomento parte di una possibile e più articolata riforma di alcune materie del nostro ordinamento, tra cui quella catastale.

Il risultato finale è stata la decisione di non incrementare la pressione fiscale, né sui titoli di Stato, né sulla casa. Questo non esclude riforme, come quella del catasto, tale da far emergere valori immobiliari più congrui rispetto alla situazione di mercato. Ma senza incremento della pressione fiscale.

Innalzare la tassazione dei titoli di Stato è operazione spesso vana. I motivi e le conseguenze di siffatte politiche

In questo articolo intendiamo concentrarci sullo specifico tema di un eventuale incremento della tassazione sui titoli di Stato.

Si tratta di un tema che talora ricorre nelle trattazioni di politica finanziaria.

Uno dei principali motivi favorevoli alla tesi della contrarietà, come sostenuto dal centro-destra, riconduce ai possibili effetti negativi per l’economia.

Incrementare le imposte sulle rendite dei titoli di Stato comporta, infatti, una diminuzione di liquidità monetaria con possibili effetti macroeconomici negativi sulla crescita.

Ma lo Stato ci guadagnerebbe?

La risposta è negativa.

Intanto per le ripercussioni sulle entrate tributarie in generale, visti possibili effetti recessivi.

Inoltre per il rischio di ottenere meno entrate dai titoli di Stato.

E vediamo, quindi, perché innalzare la tassazione dei titoli di Stato è operazione spesso vana.

Il fattore “duration”

In un precedente articolo del 19 febbraio 2022, spiegavamo che la duration (ossia la media ponderata dei flussi di cassa scontati) incide sulla sensibilità di un titolo di Stato rispetto a nuove condizioni di mercato.

Nell’articolo precedente si sosteneva questa tesi, in relazione ad un cambiamento di tassi d’interesse. Infatti, più è lunga la duration di un titolo, più esso sarà sensibile ad una variazione dei tassi d’interesse.

Lo stesso è vero anche per un cambiamento della tassazione.

Infatti i titoli a scadenza più lunga, normalmente offrono rendimenti maggiori e per più tempo, pertanto essi sono più colpiti da un aumento della tassazione sui rendimenti.

Prima di innalzare la tassazione sui titoli di Stato, bisogna quindi valutare anche questo aspetto.

Andare a colpire maggiormente i titoli di Stato con scadenza piu’ lunga, potrebbe essere controproducente per l’emittente (ossia lo Stato). Questi prodotti, non devono continuamente essere rimborsati, riemessi e rinegoziati. Sono proprio questi, quindi a garantire una maggior stabilità e prevedibilità alle finanze pubbliche.

Alcuni semplici calcoli spiegano il tutto

Gli operatori di mercato richiedono un certo ritorno dai loro investimenti, in base al rating dell’asset su cui investono.

Ma cosa succede sui titoli di Stato se una maggior tassazione abbassa il rendimento netto?

Ecco un esempio.

Ipotizziamo un titolo di Stato a suo tempo acquistato con una cedola lorda del 10%.

Se il prezzo è 100, la cedola lorda è 10. Considerando una tassazione del 12,5%

(attuale aliquota fiscale) la cedola netta è quindi pari all’8.75%.

Ipotizziamo che una riforma innalzi l’aliquota fiscale al 15%.

La cedola netta sarà quindi pari a 8,5.

Ma se il mercato continua per quel titolo a richiedere un rendimento netto dell’8,75%, questo si rifletterà sul prezzo del medesimo.

In altri termini, una cedola netta dell’8,5% deve corrispondere sempre ad un rendimento netto dell’8,75%, in base ad un prezzo di acquisto, che non potrà più essere pari a 100.

Il nuovo prezzo sarà quindi pari a: 8,5/0,0875=97,14.

Questo significa che, a fronte di un ridotto risparmio sulla cedola, l’emittente dovrà accontentarsi di emettere il titolo ad un prezzo decisamente ridotto.

Abbiamo quindi un risparmio sulla cedola pari a: 8,75-8,5=0,25.

Ma in cambio di un mancato incasso per ogni titolo pari a: 100-97,14=2,86.

In altri termini, diviene più difficile il collocamento del debito con possibili ripercussioni anche sulla sua sostenibilità.

Lettura consigliata

Settimana prossima sarà decisiva per i mercati e si capirà ulteriormente se il minimo annuale è stato già segnato o meno

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