In assenza di regole sulle finanze pubbliche il rischio è quello di un crollo dell’euro

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In assenza di regole sulle finanze pubbliche il rischio è quello di un crollo dell’euro. Spieghiamo il perchè.

La crisi da pandemia, tra altre cose, ha rispolverato un antico dibattito esistente tra la visione socialista e liberale della politica monetaria delle Banche centrali. L’utilizzo di politiche ultra espansive, consistenti nel portare i tassi di interesse a zero, o addirittura sotto zero, e nel monetizzare i debiti pubblici degli Stati attraverso programmi d’acquisto di titoli di Stato senza precedenti, ha diviso, come non mai, gli economisti circa l’opportunità e l’efficacia di queste misure che, tra le altre cose, hanno prodotto l’effetto collaterale di distruggere la reddittività del fixed income, soprattutto quello sovereign.

Gli economisti di area socialista (spesso erroneamente etichettati come “keynesiani”) hanno visto in questa crisi una opportunità unica per avallare l’idea secondo la quale la stampa ad libitum di moneta possa essere la soluzione giusta, spesso l’unica e sola, per sostenere l’economia di un paese e riportarla sul sentiero della piena occupazione. Via l’austerità, via le regole di finanza pubblica e, per quanto riguarda l’eurozona, via quelle regole scritte nel Patto di Stabilità e Crescita che, secondo molti esponenti illustri, è ormai ora di mandare in soffitta, affinché si lasci spazio ad un nuovo ambiente normativo più “flessibile”, o “morbido” (attenzione perché qui l’uso della semantica ha un peso dirimente).

Gli economisti socialisti propugnano quindi un “nuovo corso” europeo, dove le regole sono lasche, interpretabili e dove sia possibile fare più deficit, più spesa pubblica, più debito. Una sorta di anarchia di policy dove ogni stato fa un po’ quello che vuole.

In assenza di regole sulle finanze pubbliche il rischio è quello di un crollo dell’euro

Tutto ciò è soltanto una illusione, che se assecondata dai leader comunitari, potrebbe presto portare alla estinzione dell’euro. Non sarebbe la prima volta che questo accade e non è una questione politica ma di regole di funzionamento della finanza pubblica e privata. Già negli anni Novanta il Sistema Monetario Europeo (SME) fallì miseramente, per via della pesante crisi valutaria che colpì le economie europee come conseguenza di una crisi economica che, a fronte di quella pandemica che stiamo vivendo, sembra una barzelletta. Diciamolo chiaramente: se oggi nell’eurozona non stiamo assistendo a crolli valutari ben peggiori di quelli vissuti all’inizio degli anni Novanta, è solo perché abbiamo una valuta forte come l’euro, sostenuta dalle forti finanze pubbliche dei Paesi del Nord Europa, che forniscono collaterale di qualità all’euro.

Il Patto di Stabilità e le regole

Ma affinché l’euro possa funzionare è necessario che sopravvivano le regole del Patto di Stabilità e Crescita, ovvero che gli stati che aderiscono alla valuta unica si impegnino seriamente a ridurre i loro deficit e debiti, facendoli convergere sul sentiero della sostenibilità di lungo periodo. I principi liberali dell’austerità di bilancio e dello spendere nei limiti di quanto si preleva sono spesso visti come un cappio al collo dei policy-maker e non come un valore. Con questa crisi, il processo virtuoso di risanamento delle finanze pubbliche nazionali, che a fatica era stato rispettato negli anni passati, è saltato completamente, anche se per cause di forza maggiore. Rischiamo di passare dalle regole all’anarchia delle regole.

Ora, possiamo davvero aspettarci che, una volta finita questa crisi, la Banca centrale manterrà politiche monetarie costantemente accomodanti e che le regole del PSC potranno essere sospese? Assolutamente no.

Nessuna valuta può resistere sul mercato se non accompagnata da politiche monetarie moderate e stabili.

Quelle che sta oggi praticando la BCE non lo sono affatto. Non è un giudizio di valore, ma una semplice evidenza empirica.

Alla fine di questa crisi molte economie, soprattutto quelle del Sud Europa usciranno con debiti pubblici da record, che dovranno essere per forza ridotti. E dal momento che il sostegno della Banca centrale verrà meno, in assenza di crescita, che speriamo torni presto, l’unico modo con il quale la riduzione del debito pubblico potrà essere fatta è attraverso un ristrutturazione del debito, come avvenuto in Grecia. O tramite un prelievo forzoso di dimensioni comunque ingenti (pari a svariate decine di miliardi di euro) dai conti correnti. E’ bene essere chiari su questo punto. Indipendentemente dal governo che dovrà farlo o dal banchiere centrale di turno che si troverà a modificare la stance di politica monetaria, questa è, in ogni caso, una certezza ragionevole per chi pensa che la finanza, compresa quella pubblica, ha delle regole.

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