La radice dei problemi del sistema imprenditoriale italiano

sistema produttivo

Gli imprenditori e il sistema produttivo nazionale: i problemi di un settore che a suo tempo è stato un fiore all’occhiello per l’Italia. Cosa si trova alla base di un malessere che ormai dura da anni? Di seguito l’intervista ad Alfonso Bialetti noto finanziere e analista internazionale, anche lui tra i premiati all’Annual Meeting di ProiezionidiBorsa. 

Partiamo prima di tutto da un punto: perchè l’imprenditoria italiana non riesce a fare sistema? Qual è il nemico, se di nemico si può parlare? Lo Stato o l’imprenditore stesso?

Il fatto che l’imprenditoria italiana non riesca a fare sistema è da ricercare in una pluralità di concause che devono essere attribuite alla nostra storia. Siamo un insieme di popoli molto diversi tra loro ed aggregati solo attraverso usi, costumi e tradizioni. Ma qualche caratteristica comune l’abbiamo e deriva dal fatto che fin dal Regno Borbonico passando dal Regno dei Savoia (che era un satellite del Regno di Francia tant’è che l’Unità d’Italia è stata voluta dal Regno di Francia) lo Stato, in Italia, è sempre stato visto, dal cittadino, come nemico. Quindi il popolo ed ogni singolo cittadino hanno dovuto cercare di sopravvivere pensando a se stessi e vedendo sia nello stato che nel prossimo il nemico dal quale proteggersi.

Probabilmente questo “arrangiarsi” ha anche prodotto lo sviluppo dell’ingegnosità, grande qualità che identifica noi italiani nel mondo intero. Ma questo “arrangiarsi” ha anche prodotto un lato negativo. Ad esempio l’opinione comune, che poi è realtà a tutti gli effetti, di un cittadino italiano che  non sa organizzarsi e che non sa fare, appunto, gioco di squadra.

In altri Paesi lo Stato è amico e c’è collaborazione con il cittadino. Ne consegue che, in questi casi, la popolazione è solitamente più incline all’organizzazione e alla collaborazione. Il lato negativo è che i cittadini sono tendenzialmente meno ingegnosi proprio perchè, a differenza di quanto accaduto storicamente in Italia, non si è sviluppata la già citata “arte di arrangiarsi”. Inoltre il sistema industriale italiano è giovane e non ha una cultura, per cui negli anni ‘60 in occasione del boom economico sono stati fatti molti errori, sia da parte degli imprenditori che da parte dello Stato. Elencare gli errori commessi da una parte e dall’altra richiede un lungo dibattito e credo che siano stati scritti e detti fiumi di parole.

Dove affonda le radici l’ormai incontestabile verità di una svendita delle grandi realtà produttive italiane?

Occorre distinguere il mondo delle grandi aziende da quello delle medio-piccole. Come ho detto prima, l’italiano tipo è una persona oserei dire genialoide ma troppo spesso incapace di gestire l’efficienza ed ottimizzare l’organizzazione. Spesso succede che nel mondo delle piccole aziende i pionieri debbano poi arrendersi. Questo porta a dover cedere anche l’anima dell’azienda che hanno creato a gruppi internazionali i quali, però, dispongono di risorse indispensabili come, ad esempio, il capitale, l’ambiente favorevole alle imprese, la presenza nei mercati internazionali. I gruppi internazionali, inoltre, oltre alle aziende, acquisiscono anche le risorse umane italiane poiché indispensabili nel contesto organizzato ma insufficienti in quello disorganizzato del piccolo imprenditore.

Nel mondo delle grandi imprese, oltre a quanto sopra, esistono anche altri obiettivi. Si tratta di targets socio-culturali ed economici. Molte grandi imprese ci vengono sottratte per diversi motivi. Il primo è perché non possono sopravvivere nel contesto imprenditoriale italiano a loro ostile. Infatti in Italia l’azienda deve fare impiego, all’estero deve fare profitto. Ma paradossalmente si tratta di un circolo vizioso: se l’azienda non fa profitto e perde continuamente come può fare impiego sano e duraturo. Ma un’azienda può essere sottratta anche perché vi è un interesse di valore strategico.

In entrambi i casi la conseguenza è che in Italia restano o micro aziende con pochi margini oppure grandi aziende, direttamente e/o  indirettamente, a carico della collettività. Si tratta di aziende che non producono ricchezza e che, di conseguenza, offrono salari a basso potere d’acquisto reale

Ci sarebbe ancora tanto da dissertare relativamente alle due tematiche.

Ad esempio occorrerebbe parlare anche di tanto altro, come ad esempio, della scuola come una delle più importanti fonti delle peculiarità sopra descritte ma in questo caso si inizierebbe un discorso ben più ampio in cui occorrerebbe poi tramutare le parole in concrete azioni, altrimenti rimangono sempre e solo mere parole utopiche e quindi inutili

L’Italia, attualmente, è un grande Paese abitato da piccole idee?

Come ho già scritto in un altro mio intervento del 2010 intitolato Evoluzione della specie Industriale – Imprenditoriale “L’obiettivo degli imprenditori deve essere conquistare i mercati esteri emergenti, non l’avvantaggiarsi dei bassi costi di produzione esteri per competere sui mercati interni. La prima è una scelta strategica, difficile da realizzare, ma sicura negli effetti. La seconda, in molti casi, prolunga artificialmente la vita di aziende a rischio. Occorre, in questo, tornare agli anni 60: durante il boom economico sono nate migliaia di imprese attorno all’idea di altrettanti prodotti innovativi. Ma molte di esse erano impreparate, e irrigidite dalle proprie dimensioni relative, alla crisi economica dei primi anni 70 e furono spazzate via”. 

Consigliati per te