Il recente rialzo dei tassi d’interesse sul titolo di Stato decennale americano spinge al rialzo il dollaro, come possiamo interpretare questo segnale?

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Il recente rialzo dei tassi d’interesse sul titolo di Stato decennale americano spinge al rialzo il dollaro, come possiamo interpretare questo segnale? Studiamo ed apprpfondiamo la situazione.

Nella giornata di mercoledì abbiamo assistito ad un apertura della Banca centrale americana (FED) e ad un potenziale cambio di rotta dell’attuale politica monetaria ultra accomodante. I recenti dati sull’inflazione, sembrano avere un sempre maggiore impatto anche su coloro che all’interno del Board della FED erano inizialmente propensi a mantenere politiche monetarie espansive ancora a lungo.

Con la seduta di settimana scorsa, la FED ha deciso di mantenere gli attuali livelli in termini di tassi d’interesse e espansione monetaria, ma introducendo una previsione di due rialzi ai tassi d’interesse nel 2023. Questa decisione ha fatto lievitare gli interessi del titolo di Stato decennale americano.

Questo aveva toccato i minimi di 1,45% nella chiusura del 10 giugno, mentre ha chiuso al 1,57% il 16 giugno.

La chiusura del 17 giugno, ha visto il tasso d’interesse sul decennale “rientrare” parzialmente all’1,52%. Ma un’altra cosa è a nostro avviso rilevante. È ritornata per la prima volta dal 2019 un’inversione, seppur lievissima, della curva dei rendimenti. Infatti alla chiusura del 17 giugno l’interesse sul titolo di Stato americano a 1 mese quota 0,05% contro lo 0,04% degli omologhi a 2 e 3 mesi.

Questa inversione della curva, a nostro avviso può essere ancora considerata insignificante sia per la modesta entità dello scarto (0,01%) tra i rendimenti e sia perché avviene su scadenze molto ravvicinate nel tempo. Normalmente, le inversioni degne di preoccupazione avvengono tra i titoli a scadenza 2 anni e 10 anni rispettivamente. Queste ultime due scadenze al momento non risultano invertite ed anzi sembrano avere uno scarto abbastanza salutare tra loro con il 2 anni a 0,23% ed il decennale a 1,52% rispettivamente.

Un’inversione dei rendimenti con valori importanti e prolungati nel tempo ha spesso segnalato future recessioni con un anticipo di 12-18 mesi. Ma come abbiamo rilevato prima, il segnale attuale ci sembra ancora troppo debole per suggerire un riposizionamento dei portafogli in chiave strategica.

Allora che indicazione possiamo trarre da questo segnale? A nostro avviso, questa lieve inversione invita l’investitore a monitorare quotidianamente l’evolversi della curva con maggiore attenzione. Questo al fine di accertare se il segnale rientrerà oppure si aggraverà nelle prossime settimane.

Il recente rialzo dei tassi d’interesse sul titolo di Stato decennale americano spinge al rialzo il dollaro, come  possiamo interpretare questo segnale? Come l’uscita dal tunnel e l’inizio della ripresa?

Un altro effetto che a nostro avviso è stato causato dalla comunicazione della FED di mercoledì scorso è stato l’apprezzamento del dollaro. Questo possibile effetto era già stato da noi segnalato circa con un mese di anticipo in questo articolo del 22 maggio scorso. Qualora la FED inizi a ridurre l’attuale politica monetaria espansiva e le altre maggiori Banche centrali non seguano la stessa politica, questo potrebbe a parità di altre condizioni spingere una sopravvalutazione del dollaro (USD). Tra il 16 ed il 18 giugno, quindi prima e dopo l’annuncio della FED, il dollaro si è apprezzato del 2% circa sull’euro in soli 2 giorni. Uno scostamento molto importante avvenuto in pochi giorni di contrattazione. E questo solo in base ad un annuncio della FED di un aumento dei tassi che potrebbe avvenire nel 2023.

Nell’articolo del 22 maggio avevamo anche segnalato un potenziale calo del petrolio a causa della correlazione inversa dollaro/petrolio. Tra il 16 ed il 18 giugno infatti il Future di luglio 2021 sul petrolio ha perso il 3,25% passando da 72,93 a 70,52 dollari.

Conclusioni

Dobbiamo leggere questi segnali come l’inizio di un nuovo trend al rialzo per il dollaro e ribasso per petrolio?

A nostro avviso no. Per capire qualcosa di più sui trend a lungo periodo, dovremo aspettare l’inizio dell’autunno. Solo allora, si capirà quanto la campagna vaccinale sarà stata efficace a debellare il Covid 19, e consentire una conseguente ripartenza dell’economia su basi sostenibili e durature. Che il Covid 19 abbia ridotto la sua contagiosità negli ultimi mesi è un dato di fatto (almeno in Italia), ma questo era avvenuto anche nell’estate 2020, quando i vaccini non esistevano ancora. Quindi la cartina da tornasole per validare l’efficacia dei vaccini a far ripartire l’economia, secondo noi non può che essere l’autunno. In questa stagione infatti, i dati riscontrati saranno neutri del fattore “estate” che storicamente ha inciso positivamente contro tutte le epidemie di tipo virale.

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