Il futuro di Wall Street è un mix esplosivo fra curva dei tassi, trimestrali, utili societari e rischi geopolitici

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Da un punto di vista economico e geopolitico, gli USA sono attesi a due importanti appuntamenti, quello delle trimestrali ed il confronto con la Corea del Nord.

Quali impatti sui mercati, quali prospettive?

Incominciamo con l’analizzare i dati relativi alla situazione economica.

Siamo entrati nella cosiddetta stagione delle trimestrali, durante la quale le aziende pubblicano i dati relativi ai propri bilanci.

Quest’anno sia i dati delle aziende già pubblicate, sia le attese degli analisti indicano una crescita significativa degli utili, ma come interpretare correttamente questo dato?

In realtà, al di là di facili euforie, occorre considerare che, analogamente a quanto si verifica sugli indici di borsa, una fase particolarmente espansiva ed una visione particolarmente ottimistica sul ciclo degli utili, è quella che accompagna le fase conclusive di un ciclo rialzista, prima di un’inversione al ribasso, o quanto meno di un passaggio ad una fase decisamente più riflessiva.

Per capire, quindi, se un indice possa poi riflettere tale ottimismo, o meno, bisogna seguire una serie di considerazioni basate sull’analisi macroeconomica e fondamentale.

Talora capita, infatti, che alcuni dati di bilancio particolarmente ottimistici possano poi presentare non proprio positive sorprese sul futuro dei corsi azionari. Vediamo perché.

Dal punto di vista dell’analisi fondamentale, in realtà diverse metodologie, dal p/e ratio di Shiller al rapporto tra quotazioni e bonds, ed altre ancora, tendono ad evidenziare come negli attuali corsi di borsa già siano scontate le attese di utili in rialzo, e quindi come tali quotazioni tendano ormai ad un’area di sostanziale sovraquotazione rispetto a valori di maggior equilibrio, come desunti da diversi modelli econometrici.

Ma, a mio avviso, dal momento che anche l’analisi fondamentale non offre, necessariamente, una visione assoluta, ma pur sempre su basi statistiche, la vera scriminante per comprendere quello che a noi maggiormente interessa, cioè la reazione degli indici, riconduce al fatto che i mercati stimino la persistenza, o meno, di un tasso di crescita significativo sul medio lungo/ termine.

E quale miglior metodo, che domandarlo ai mercati stessi?

Come?

Grazie alla curva dei rendimenti dei bond governativi, che in un colpo d’occhio ci dicono se il mercato stima sostenibile o meno un certo tasso di crescita, e a quale ritmo.

Considerando, quindi, la curva dei tassi USA, emerge chiaramente un tasso di crescita decisamente moderato, rispetto all’ottimismo imperante, sul tratto a breve/medio, attorno allo 0,8 per cento come spread tra la scadenza a 1 anno e a 5 anni.

E appena dell’1,15 nel tratto a lungo, tra 5 e 30 anni.

Che queste indicazioni desunte dalla curva dei tassi statunitensi siano significative, emerge anche da un confronto, ad esempio, con la quasi sempre bistrattata economia italiana.

La curva dei tassi, riferita ai bond italiani, evidenzia uno spread tra scadenze tra 1 e 5 anni dell’1,358 per cento e del 2,22 per cento nel tratto tra 5 e 30 anni.

Possiamo quindi dire che ad una fase di risultati in crescita delle aziende statunitensi, in diversi casi anche oltre le attese degli analisti, non corrisponde analoga previsione di analoghe prospettive di rialzo, sul medio/lungo, da parte dei mercati.

Soprattutto se pensiamo che i mercati stimano le possibilità di crescita inferiori a quelle, come dicevo, della quasi sempre bistrattata economia nostrana.

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Ma la situazione geopolitica, il confronto con la Corea del Nord?

La realtà, come quasi sempre, è un po’ diversa da come viene rappresentata dai principali media.

La Corea del Nord è un souvenir della guerra fredda, forse l’ultimo stato stalinista ancora esistente sulla faccia delle terra.

Divisa lungo il trentottesimo parallelo dalla Corea del Sud, la sua esistenza ha sinora rivestito un ruolo strategico per le tre superpotenze mondiali, USA, Cina e Russia, quale vero e proprio stato cuscinetto.

Vediamo perché.

Alla Cina certo non converrebbe una riunificazione della Corea, che vedrebbe con probabilità schierarsi lungo le sue frontiere un considerevole contingente militare statunitense, oltre al problema di dover fronteggiare circa un milione di profughi coreani.

Ovviamente anche la Russia soffrirebbe di un conflitto armato, soprattutto di tipo termonucleare, ma anche solo convenzionale, essendo il teatro di guerra confinante con i propri confini e con la propria area di influenza strategica.

Da parte loro, gli USA sono interessati al mantenimento dell’autonomia del loro alleato nell’area, la Corea del Sud, ed a contenere eventuali mire espansioniste nordcoreane.

E’ pure evidente che gli USA non sono realmente interessati ad un conflitto nell’area, dagli esiti comunque imprevedibili, ma semmai a far intervenire la Cina, perché contenga l’attivismo nordcoreano (comunque più pericoloso a parole, che nei fatti, visto anche il fallimento del test missilistico tanto sbandierato, e le effettive capacità offensive, in termini quantitativi e di efficienza dell’arsenale nucleare nordcoreano, inferiori a quanto sbandierato dal regime).

Non va infatti dimenticato che la sopravvivenza dello stato nordcoreano dipende dalle importazioni di generi anche di prima necessità e di energia dalla Cina.

Se la Cina chiudesse anche solo per una settimana le fonti energetiche alla Corea del Nord, questa verrebbe messa in ginocchio.

E’ quindi evidente che il tutto finirà con una conferma dello status quo, senza che le diatribe verbali di questi giorni possano portare ad una effettiva destabilizzazione geopolitica, e senza, quindi, ripercussioni effettivamente rilevanti neppure sugli indici.

In sintesi, il vero driver delle quotazioni azionarie sarà ancora la situazione macroeconomica, ma per come effettivamente considerata e proiettata dai mercati.

Un giorno si potrà dire: la curva dei tassi potè più dei missili della Corea del Nord.

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