Il dibattito tra gli economisti sul possibile ritorno dell’inflazione si sta di nuovo scaldando

mercati azionari

Ci risiamo. Il dibattito tra gli economisti sul possibile ritorno dell’inflazione si sta di nuovo scaldando, dopo gli ultimi dati sull’aumento dei prezzi pubblicati nell’eurozona e negli Stati Uniti, con quello della prima ormai al di sopra del livello obiettivo della BCE, ovvero vicino ma inferiore alla soglia del 2,0%, e con quello dei secondi che ormai viaggia abbondantemente al di sopra della stessa soglia. La domanda del momento è: la fiammata inflazionistica è da considerarsi soltanto un fenomeno transitorio oppure è opportuno considerarlo permanente?

Su di questo gli economisti sono completamente spaccati, divisi tra coloro che credono che l’aumento sia dovuto soprattutto ai prezzi “no core” dell’energia e alla normale ripresa post pandemica che si sta verificando nei consumi aggregati, e coloro che ritengono invece che la dinamica dell’aumento durerà a lungo, per effetto soprattutto dei limiti dell’offerta e alle difficoltà di approvvigionamento di fattori ritenuti essenziali per l’economia del futuro. E ci sono addirittura degli economisti che ritengono probabile un aumento dei prezzi compreso tra il 4,0 e il 7,0. Una enormità, soprattutto se confrontata con gli sfittici valori che ormai eravamo abituati ad osservare negli ultimi anni.

Il dibattito tra gli economisti sul possibile ritorno dell’inflazione si sta di nuovo scaldando

La questione relativa alla transitorietà dell’inflazione è del tutto dirimente, se si pensa che dalla risposta deriva la strategia di politica monetaria che le banche centrali dovranno seguire per porre rimedio all’incremento. Che poi, banalmente, se si seguono le normali regole del pollice che si insegnano nei corsi di economia monetaria internazionale, equivarrebbe a dire necessità di aumentare i tassi di interesse e di restringere l’offerta di moneta, dismettendo il programma di quantitative easing intrapreso ormai diversi anni fa. Ce n’è a sufficienza per far pensare alle possibili conseguenze sui mercati finanziari, dal fixed income all’azionario. Un aumento di volatilità che si potrebbe tradurre in un aumento dei rendimenti sovrani, un calo del valore dei relativi bond, e in un possibile scoppio della bolla speculativa che si presume esista sui mercati azionari.

I money manager, dal canto loro, si stanno già preparando all’eventualità di un aumento dell’inflazione, con le tipiche strategie di copertura, che vanno dal puntare su asset classes come l’oro, l’argento, il rame e possibilmente il petrolio, all’investire su i titoli di stato indicizzati per il tasso di inflazione. Senza contare il fatto che in un ambiente inflazionistico, pochi investitori sarebbero disposti a puntare sui bond a lungo termine. Un accorciamento della maturity media di portafoglio è quindi una soluzione ragionevole. Per quanto riguarda le azioni, è probabile che il mercato sia “rocky”, se la Fed deve rispondere all’inflazione, come testimonia il “taper tantrum” del 2013, quando la Fed decise di ridurre le partecipazioni obbligazionarie e le azioni sono scesero nel breve periodo.

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