Il dibattito tra falchi e colombe è trasversale a tutte le principali Banche centrali

Federal Reserve

Nella politica monetaria del mondo occidentale post-Covid, caratterizzato da una recrudescenza inflazionistica che nessun operatore finanziario era in grado di poter prevedere soltanto fino all’anno scorso, sta riproponendosi un acceso scontro tra falchi e colombe, tra gli ortodossi monetari e i keynesiani. I primi ritengono che la battaglia per riportare il livello dei prezzi al livello pre-pandemico debba essere condotta necessariamente attraverso un duro approccio da “doccia fredda”, consistente in un rapido, se non rapidissimo, e incisivo aumento dei tassi d’interesse e un’altrettanto rapida riduzione dell’offerta di moneta.

I secondi invece, sostengono un approccio al processo di normalizzazione della politica monetaria più graduale e tenue, poiché sostengono che un repentino aumento del costo del denaro comporterebbe l’effetto collaterale di interrompere la crescita del PIL, iniziata lo scorso anno e, attualmente, già a rischio per via dello scoppio della guerra in Ucraina.

Il dibattito tra falchi e colombe è trasversale a tutte le principali Banche centrali, dalla Federal Reserve alla Banca Centrale Europea, passando per la Bank of England. FED e BOE hanno, sin da subito, scelto di adottare un approccio più hawkish di quanto abbia fatto la BCE. La prima ha rialzato i tassi d’interesse di 25 centesimi di punto nell’ultimo FOMC di marzo, mentre la seconda ha fatto una identica mossa nella sua ultima riunione del FMC, portando il costo del denaro nel Regno Unito allo 0,75%.

Anche la forward guidance delle due Banche centrali anglosassoni si è notevolmente irrigidita ultimamente, se si pensa che ormai molti analisti scommettono apertamente sul fatto che i banchieri centrali di Washington possano aumentare nuovamente i tassi di ben 50 centesimi di punto nel prossimo FOMC, il doppio di quanto inizialmente atteso.

Il dibattito tra falchi e colombe è trasversale a tutte le principali Banche centrali

La BCE è attualmente più dovish, sia come stance che come forward guidance, rispetto alle altre Banche centrali. Eppure, nell’ultimo meeting del board, i membri si sono divisi, con molti di loro che hanno chiesto apertamente un primo rialzo dei tassi nei prossimi mesi. Il rischio che essi paventano è proprio quello che la BCE rimanga troppo “behind the curve” (dietro la curva), come si dice nel gergo dei mercati finanziari, ovvero che si lasci sfuggire la situazione di mano.

Ma i falchi di Francoforte sono stati messi subito sotto attacco delle colombe, che hanno proposto un approccio di tipo “wait and see”, giustificandolo con il rischio che una politica monetaria restrittiva venga perseguita in piena recessione economica, l’ennesima nella quale l’Europa rischia di ricadere già nel primo semestre dell’anno, a causa di una guerra che sta durando più del previsto. Ecco che, allora, districarsi tra due rischi opposti, quello di agire “dietro la curva” è quello di provocare una “stagflazione”, diventa un compito niente affatto facile. Sbagliare mossa, in un ambiente economico globale così incerto, può costare molto caro.

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