Il 2022 sarà l’anno in cui si concluderà l’importantissimo processo di riforma della governance economica dell’Unione Europea

Unione Europea

Il 2022 sarà l’anno in cui si concluderà l’importantissimo processo di riforma della governance economica dell’Unione Europea. Una riforma a lungo attesa e del tutto necessaria, se si vuole dotare il Vecchio Continente di un quadro di regolamentazione economica e finanziaria in grado di gestire le nuove sfide globali della ripresa post-pandemica.

Questo processo di riforma avverrà grazie a tre passaggi fondamentali:

l’approvazione del nuovo Patto di Stabilità e Crescita (PSC) entro la fine dell’anno, necessario per evitare il ritorno delle vecchie regole, attualmente sospese per effetto della General Escape Clause (GES), il completamento della Banking Union e la conclusione del processo di ratifica del nuovo trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) da parte di tutti gli Stati Membri che l’hanno sottoscritto. Tre riforme nient’affatto facili, perché ognuna di esse è frutto di un delicato compromesso politico raggiunto, o ancora da raggiungere, che porta sempre in dote il rischio del ritorno alla vecchia spaccatura tra Paesi del Nord e del Sud, tra “frugali” e PIGS, o “membri del club Med “.

La crisi pandemica, da questo punto di vista, sembra aver contribuito a smussare le differenze, poiché le economie e le finanze pubbliche di tutti gli Stati sono state fortemente e simmetricamente colpite dalla crisi, chi più, chi meno.

Per questo motivo, anche Paesi tradizionalmente refrattari a qualsiasi modifica delle regole di bilancio, come Germania e Olanda, si sono già dichiarate disposte ad allentare le maglie e ad accettare un percorso più morbido di risanamento del debito pubblico dei paesi più indebitati.

Questo lascia presagire, per esempio, ad un quasi certo allungamento della regola dell’1/20 contenuta nel Fiscal Compact, oltre che ad una forte semplificazione delle regole contenute nella legislazione secondaria, che potrebbe culminare nell’eliminazione di qualsiasi riferimento alla “contabilità strutturale” (deficit strutturale, MTO, stima dell’output gap), la cui stima si è rivelata, sin dalla sua introduzione, opaca e contraddittoria, se non addirittura controproducente.

La riforma del PSC dovrebbe, tuttavia, avvenire quasi sicuramente senza toccare i trattati e, di conseguenza, le soglie di deficit e debito rispetto al Pil attuali continueranno a rimanere. Da capire, inoltre, quanto i Paesi del Nord siano disposti ad accettare di rendere permanente il meccanismo del Next Generation UE introdotto nel 2020 e attualmente previsto in scadenza nel 2026, basato sul paradigma, strettamente condizionale, dei “soldi in cambio di riforme”. Un meccanismo virtuoso che sembra funzionare, con l’incentivo dell’accesso condizionato ai fondi che si sta dimostrando più efficace del sistema di procedure di infrazione e sanzioni (peraltro mai applicate) contenuto nel “vecchio” PSC.

Il 2022 sarà l’anno in cui si concluderà l’importantissimo processo di riforma della governance economica dell’Unione Europea

Molto più difficile, invece, sarà trovare un accordo sul processo di completamento dell’Unione bancaria, che dovrebbe avvenire attraverso l’istituzione dell’Edis, lo schema comunitario di assicurazione dei depositi bancari, e dall’introduzione di nuove regole per ridurre il rischio di esposizione dei bilanci degli istituti di credito ai debiti nazionali (il cosiddetto “doom loop”). Una policy, quest’ultima, ritenuta assolutamente necessaria dalla Germania per poter evitare lo scoppio di altre crisi bancarie e, in ogni caso, una riforma obbligata per ottenere il nulla osta di Berlino, e non solo, a qualsiasi ipotesi di mutualizza ione dei debiti a livello comunitario.

Infine, il processo di ratifica del MES. Questo, almeno in teoria, dovrebbe essere il passaggio più semplice da fare, considerando che la riforma del trattato è già stata approvata all’unanimità a inizio 2020.

In realtà, all’appello dell’avvenuta ratifica mancano ancora i tre Stati più importanti della UE: Italia, Germania e Francia.

Mentre però, per la Germania la ratifica sembra solo una questione di giorni, in quanto il Bundestag l’ha già approvata e questa non è ancora diventata effettiva perché su di essa pende ancora il giudizio della corte di Karlsruhe, che molto probabilmente non soverchierà la decisione del Parlamento tedesco, per l’Italia, il problema è tutto politico, dal momento che una maggioranza per approvare la ratifica, in Parlamento, in questo momento non c’è, considerando l’esistenza di un vero e proprio diktat da parte di Lega e Movimento Cinque Stelle sul contenuto del nuovo Trattato. Il rischio è quello che il MES rimanga nel cassetto. A quel punto, i paesi del Nord Europa avrebbero tra le mani una forte arma di ricatto nei confronti dell’Italia su PSC e riforma della Banking Union. Uno stallo, quello che si verrebbe a creare, dal quale tutta l’Europa, non solo l’Italia, avrebbe solo da perdere.

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