I dati macro sono driver inaffidabili? A due rialzi dei tassi americani seguirà una correzione dei mercati?

ProiezionidiBorsa

Anni fa col mio team completammo uno studio sulle variazioni percentuali dei mercati borsistici a seguito dell’uscita dei dati macro.

Partivamo dal presupposto che a un dato positivo corrispondesse  una reazione positiva dei listini e viceversa.
I risultati, dato per dato (analizzammo i più importanti per intenderci) furono invece degli sconfortanti quanto inaffidabili come parametri per prendere decisioni: 56/44, 57/43 e così via.

Dato per dato il range rimaneva sempre più o meno questo. Come dire che i dati macro talvolta vengono scontati in anticipo dai prezzi talvolta l’effetto lo producono successivamente all’uscita.

Rifacemmo il test verificando il trend partendo da una settimana prima e da una settimana dopo ma il risultato si modificò ben poco.

Anche analizzando il trend del dato stesso, quindi allargando il panorama alla vera e propria tendenza del ciclo macro-economico i risultati di correlazione rimasero sconfortanti.

Ora questo studio non viene più aggiornato così metodicamente ma mnemonicamente e quindi in modo del tutto empirico si continua a tenere monitorato questo fenomeno e posso confermare che ben poco è cambiato.

Anzi , tanto più, in era QE dati buoni e dati cattivi sono risultati ininfluenti i mercati hanno deciso di correre sfruttando la massa monetaria messa a disposizione e i numeri dell’economia ancora di più sono diventati corollario ininfluente. Così come sarà quando decideranno di iniziare a scendere sul serio.

A tal proposito due cose: gli indici USA, S&P500 in testa stanno battendo ogni record temporale riguardo al mancato realizzarsi di un trend ribassista che duri almeno una settimana in modo convinto e profondo, se poi guardiamo la cosa dal lato dei famosi cicli di tre settimane il ritardo è ancora più evidente e clamoroso.

Questo aumenta i rischi che quando dovesse verificarsi , anche per la disabitudine dei nuovi utenti delle borse USA, potrebbe rivelarsi un vero e proprio tracollo : dati o non dati.

Segnalo inoltre che l’unico indicatore che mantenne una valenza statistica significativa  fu proprio quello dell’aumento dei tassi USA: ovvero entro poco dopo il secondo intervento restrittivo (leggasi aumento del tasso di sconto e dei FED fund) storicamente le borse USA ( ma a trascinamento anche tutte le altre) hanno sempre pagato dazio con crolli importanti in un trend che è rimasto rialzista di lungo termine fino al primo taglio dei tassi

In questo ultimo anno i primi due interventi sui tassi ci sono già stati!

Ma anche in questo caso il QE sta facendo la differenza: aumenti dei tassi irrisori e minute in cui si conferma una politica monetaria ultra accomodante stanno facendo sì che  le borse reggano.

L’eterno rialzo però non è contemplato né dalle leggi statistico/probabilistiche né dal ciclo dei tassi (unico parametro influente se non si vuole imitare il modello giapponese con tutte le sue contro-indicazioni) né dallo stesso ciclo economico che, nella sua natura, prima o poi, liquidità facile per sostenere le banche a parte, rallenta ed entra in recessione.

Il succo di tutto questo è: occhi aperti, visione innovativa nel cercare e studiare modelli efficienti sui mercati sapendo che il ritardo di un ribasso molto  significativo e globale non potrà estendersi all’infinito.

Articolo di Gianluca Braguzzi – CFI Asset Management and Organization WIAM

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