Guerra in Ucraina: la resilienza del rublo impone riflessioni sull’efficacia delle sanzioni

Ucraina

Tra i tanti obiettivi che l’Occidente si era prefissato di raggiungere per indebolire l’economia russa, per effetto delle sanzioni imposte contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina, quello di riuscire a indebolire il rublo era sicuramente tra i più importanti. Il rendere, de facto, inutilizzabile la valuta attraverso l’esclusione del sistema finanziario russo dai circuiti internazionali, avrebbe dovuto scatenare una iperinflazione che avrebbe finito per diventare insostenibile nel lungo termine per i cittadini, portando la Russia, in breve tempo, al default.

Perché, se è vero che l’economia russa fonda la sua ricchezza sull’export di materie prime fondamentali per le economie occidentali come petrolio, gas, metalli industriali e fertilizzanti, è altrettanto vero che deve importare tutto il resto, tecnologia compresa. Come avrebbe potuto il popolo di Putin sopravvivere con una moneta divenuta improvvisamente carta straccia?

Questi gli auspici.

Purtroppo, le cose non sono andate esattamente come sperato. Dopo un primo crollo subito immediatamente dopo il lancio dell’attacco su larga scala da parte dell’esercito russo, infatti, il rublo si è ripreso ad un ritmo senza precedenti negli ultimi giorni, toccando, la scorsa settimana, livelli mai toccati negli ultimi 7 anni nei confronti dell’acerrimo rivale dollaro. Inoltre, il forex russo, proprio grazie a quest’ultimo rimbalzo, è diventato il top performer dell’anno, in netta antitesi con le aspettative dei trader globali.

E la performance avrebbe potuto essere addirittura migliore, se la banca centrale di Mosca non fosse intervenuta per ben tre volte dall’inizio di aprile tagliando i tassi d’interesse, nel tentativo di stabilizzare la valuta. Perché la forza del rublo, e questo è il paradosso, sta cominciando a danneggiare seriamente le esportazioni russe, nell’esatto momento in cui Stati Uniti e Commissione Europea faticano a trovare un accordo per limitare gli acquisti di materie prime.

Guerra in Ucraina: la resilienza del rublo impone riflessioni sull’efficacia delle sanzioni

Aumenta il rublo e diminuisce, di riflesso, l’inflazione. Il tasso di crescita dei prezzi è infatti sceso al +17,5% a maggio, dal +17,8% di aprile. Se la speranza dell’Occidente era quindi quella di creare inflazione mediante il deprezzamento del rublo indotto dalle sanzioni, oggi dobbiamo ammettere che tale obiettivo sia ancora lungi dall’essere raggiunto. Mentre, nel frattempo, la bilancia delle partite correnti registra un saldo positivo sempre più significativo e il gettito proveniente dalla vendita di petrolio e gas va a gonfie vele, grazie soprattutto al vertiginoso aumento dei prezzi delle 2 commodities registrato negli ultimi mesi.

Le sanzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina sono quindi state un boomerang per chi le ha decise?

La risposta è no.

Se, a prima vista, leggendo i dati del rublo e del saldo delle partite correnti, sembrerebbe di sì, sono i dati provenienti dall’economia reale a fornirci un quadro più utile a capire quanto il benessere del popolo russo stia velocemente peggiorando. Il Fondo Monetario Internazionale stima che il crollo del Pil reale russo quest’anno sarà pari al -8,5%, una contrazione pari pressapoco a quella subita dalle economie avanzate durante il lockdown del terribile 2020.

Il raggiungimento di un accordo sull’embargo petrolifero da parte dell’Unione Europea, il principale cliente della Russia, potrebbe attestare poi un colpo durissimo all’economia di Mosca. Il problema è che la Russia non sarà la sola a dover subire una recessione per via delle sanzioni.

I tassi di crescita del Pil atteso sono stati infatti drasticamente ridimensionati anche per tutte le principali economie mondiali ed è tutto l’Occidente a rischiare di finire nuovamente in recessione, nel momento in cui ci si attendeva che il 2022 fosse un altro anno di forte ripresa post-pandemica. Certamente, in seguito alla guerra in Ucraina, per molte classi dirigenti la paura di dover gestire una crisi economica determinata dalle loro stesse scelte potrebbe essere un grande deterrente a proseguire nella volontà di rendere le restrizioni ancora più draconiane.

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