Fuga dei cervelli dall’Italia: problema per le nostre aziende

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Un interessante articolo del Sole 24 Ore, che quando non fa politica si può ancora leggere volentieri, ha messo in evidenza come  secondo i dati ISTAT il numero dei giovani laureati in fuga verso l’estero nel 2016 è raddoppiato rispetto al 2012 e il trend è in ulteriore incremento. E questo nonostante si sia vissuta una fase, seppur blanda , di ripresa economica e occupazionale come evidenziato su Neodemos dalle ricercatrici Istat Maria Pia Sorvillo e Francesca Licari.

La cosa preoccupante è che il fenomeno dell’emigrazione professionale riguarda principalmente i giovani maggiormente qualificati in possesso di competenze specialistiche e skill di elevato standing.

Rapportato al costo pubblico di formazione di queste unità ,l’Italia investe nella scuola e nell’Università il 4% del PIL nazionale, un vero suicidio di competenze.

Tra l’altro fa specie che il saldo negativo riguardi tutte le regioni comprese Lombardia ed Emilia Romagna che pure meglio hanno retto la crisi. Al sud il fenomeno è ancora più accentuato ma, di per sé, più comprensibile.

Al di là dell’anelito giovanile la cambiamento , al desiderio di viaggiare e fare nuove esperienze, credo che gli imprenditori italiani, spesso pronti a lamentarsi del basso livello dei neo assunti, dovrebbero avviare una riflessione comune su come affrontare e frenare questo fenomeno. Strategie che se ben gestite obbligherebbero tutti i giovani, anche quelli stanziali ad aumentare la soglia del proprio impegno e dei propri risultati.

Ne va della qualità stessa del prodotto made in Italy per gli anni a venire.

Made in Italy attaccato in questi giorni della moda milanese anche da certa stampa internazionale che ci accusa di sottopagare la manodopera. Realtà sicuramente riprovevole che certamente riguarda molte aziende del settore moda che hanno delocalizzato almeno parte della produzione, ma che altrettanto certamente non è fenomeno soltanto italiano né in ambito della produzione di abbigliamento né, tanto meno in altri segmenti manifatturieri.

Questo continuo attacco all’Italia , ieri anche l’agenzia Fitch reitera le sue accuse e minacce, ci lascia molti dubbi sulle reali intenzioni degli accusatori.Fitch in particolare che ci omaggia da tempo di uno sgradito BBB non perde proprio occasione per riproporsi in una veste di indirizzo che non le compete se non fosse che comunque queste agenzie private (abbiamo già scritto di chi la controlla…)godano purtroppo ancora di un credito eccessivo quanto immeritato visto il palese conflitto di interessi tra report che dovrebbero essere imparziali e invece vengono pubblicati da agenzie controllate da privati, guarda caso in prima linea sui mercati.

Tornando alle aggressioni della stampa internazionale mi chiedo: come mai lo stesso trattamento riservato ad alcuni dei nostri grandi player della moda non viene con pari aggressività riservato all’americana Nike o alla tedesca Adidas che si sa bene sono state le prime ad andare a cercare di sfruttare in giro per il mondo la manodopera a basso costo?Quando magari ancora “astutamente” le ditte italiane erano ancora intente ad esportare macchinari , tecnologia e competenze ad aziende di altri paesi tecnologicamente più arretrati. Il tutto senza magari ottenere nemmeno in cambio quote di partecipazione. Con un termine gergale si potrebbe dire italiani… poco furbi.

Evidentemente, facciamo anche auto-critica, la fuga dei cervelli migliori è già da un po’ che è iniziata.

 

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