Eurozona sempre più in deflazione e l’euro rischia di essere travolto

area euro

Eurozona sempre più in deflazione. La crisi sanitaria ed economica attuale sta provocando un calo generalizzato dei prezzi nel Vecchio Continente. Cosa che non sta invece avvenendo negli Stati Uniti, che, almeno per il momento, non registrano segni negativi davanti al tasso d’inflazione. E proprio questo aumento di differenziale inflazionistico tra le due macroaree potrebbe essere il game changer per l’andamento del rapporto di cambio euro-dollaro.

Le stime sono per un ribasso

Ma andiamo con ordine. Le ultime letture del Consumer Price Index, la proxy maggiormente usata per stimare il tasso d’inflazione di una economia, sono state particolarmente negative per i Paesi dell’area euro. I dati diffusi dalla Banca Centrale Europea lo scorso 16 ottobre, hanno visto infatti un calo del CPI su base annuale a settembre del -0,3%, un dato invariato rispetto al mese precedente e la quarta lettura consecutiva con segno meno dallo scorso giugno. Particolarmente negativo è stato il dato dell’Italia. Infatti nello stesso mese ha fatto registrare un pesante -0,6%, un nuovo minimo che va a completare una lunga serie di dati negativi registrati dallo scoppio della crisi.

Non è andata meglio in Francia, dove il dato su base annuale è sì stato pari a zero, ma il crollo su base mensile è stato pari al -0,5%. Anche in Germania, l’indice dei prezzi al consumo è sceso del -0,2% su base annuale.

Completamente diverso il discorso che riguarda l’andamento dei prezzi al consumo rilevato negli Stati Uniti. Le statistiche del Dipartimento del Lavoro hanno infatti mostrato come l’indice CPI sia salito del +1,4% nella sua ultima lettura del 13 ottobre, in rialzo rispetto al +1,3% precedente. Questo a conferma di un trend positivo che prosegue ormai ininterrottamente dallo scorso giugno, quando l’indice scese al minimo di +0,1%.

Eurozona sempre più in deflazione

Certamente il calcolo dell’inflazione, si potrà obiettare, è sempre un esercizio complesso e imperfetto, ma a conti fatti, l’attuale gap inflazionistico tra le due macroaree risulta pari all’1,7%, mentre era pari a zero lo scorso giugno. Un aumento costante che sta creando preoccupazione più tra i policy-maker dell’eurozona che tra quelli americani. Infatti  una deflazione di lungo periodo potrebbe esacerbare il problema del debito pubblico dell’eurozona, soprattutto quello dei PIGS, con tutte le conseguenze negative che si potrebbero avere sull’euro.

E proprio l’euro, infatti, rischia di essere travolto dall’ondata deflazionistica. Gli effetti sulla valuta unica si sono già visti, in rapporto al dollaro. Il cross EURUSD è, infatti, sceso sotto il livello 1,1700 la scorsa settimana, prima di riprendersi leggermente.

Tuttavia, se il differenziale inflazionistico USA-Europa dovesse diventare di medio-lungo periodo, è facilmente ipotizzabile come il rapporto di cambio possa riscendere presto sotto tale soglia. Possibilmente anche oltre, considerando che, con una deflazione diffusa, la Banca Centrale Europea sarebbe condannata a mantenere la propria stance di politica monetaria ancora estremamente accomodante per i prossimi mesi. Se non addirittura per i prossimi anni.

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