Eurozona: punto di non ritorno?

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 Le discussioni tra capi di Governo degli Stati membri dell’eurozona sono arrivate ad un elevato livello di tensioni. In particolare tra Italia e quello che potremmo definire fronte del nord, rappresentato da Germania e paesi satelliti.

Nodo della discordia gli strumenti finanziari con cui affrontare le esigenze conseguenti alla situazione causata dal coronavirus.

Da un lato l’Italia, tramite 65 economisti, ha domandato di superare la correlata emissione di nuovo denaro e debito, o quanto meno di realizzare obbligazioni comunitarie, note come coronabond.

Per altro verso, la posizione di paesi, considerati più virtuosi, in primis la Germania, decisamente contraria. Non solo come affermato dalla Merkel, anche tramite la posizione del ministro delle finanze tedesco, ma anche dalla presidente della commissione europea, tedesca anche lei e dello stesso partito.

Per comprendere cosa possa riservarci il futuro, ma anche come si sia giunti all’attuale situazione, saranno utili alcuni richiami storici, secondo una scaletta degli argomenti che andiamo a trattare.

Spesso, infatti, per comprendere prospettive attuali, ma anche future, è utile ripercorrere la storia, e quello cui assistiamo in questo periodo affonda le radici nel passato.

Eurozona: punto di non ritorno?

Ecco una breve scaletta dei temi

  • La seconda guerra mondiale: monetarismo ed inflazione
  • Timore dell’inflazione post bellica e presunte soluzioni
  • Dal timore per il nazismo al piano contro l’Italia
  • La Merkel: vecchi indottrinamenti e radicamenti attuali
  • Il nazionalismo ritorna sotto altre forme
  • Eurozona al bivio. Europei solo quando conviene?
  • Tagliare il ramo su cui si è seduti.

La seconda guerra mondiale: monetarismo ed inflazione

Come è nato il nazismo?

Storicamente, la Germania si trovava in una vera e propria situazione di catastrofe economica, prima del nazismo.

La famosa repubblica di Weimar, che precedette il regime nazista, era caduta in una gravissima situazione di crisi economica, causata soprattutto da una iperinflazione galoppante.

Causa di questo fenomeno fu in gran parte considerata una stampa eccessiva di moneta. Su questa crisi economica fece leva il nazismo, prima per sfruttare la dilagante insoddisfazione e le preoccupazioni del tedesco medio, poi per prendere il potere, abbattendo man mano le garanzie democratiche, sino a trasformare la Germania in una aperta e brutale dittatura.

Timori post bellici.

Memori di tale situazione, i tedeschi sopravvissuti al disastro bellico decisero di minare dalle fondamenta quella che, a loro avviso, era stata una delle cause prime del nazismo: iperinflazione ed eccessiva creazione monetaria.

E questa fu anche una delle idee fondanti dell’eurozona: limitare il ricorso all’indebitamento ed alla produzione di nuova moneta.

Non solo: la produzione di moneta fu sganciata dalle esigenze di bilancio statale e delegato ad un ente sovranazionale come la BCE, legandolo ad altre istanze. In primis proprio la programmazione di un tasso di inflazione predeterminato.

Dai timori postbellici, al piano contro Italia.

Ma dopo una fase iniziale, ci si accorse che questo tipo di impostazione poteva essere utile anche ad altri scopi.

Non solo limitare elementi potenzialmente negativi per il valore della moneta, come debito e produzione monetaria, ma anche far venire meno o limitare, conseguentemente, quello che aveva rappresentato un significativo vantaggio competitivo dell’Italia o in generale di paesi più deboli, nel commercio internazionale, la svalutazione della moneta, che consentiva maggiori esportazioni.

Pertanto il far venir meno monete nazionali, e correlatamente sostituirle con una moneta unica, avrebbe dovuto consentire anche una perdita di quote di mercato a paesi come l’Italia, sia all’interno che all’esterno dell’eurozona, a tutto vantaggio di paesi come la Germania e la Francia.

In sostanza, è quanto verificatosi, alla luce di diversi indicatori, che evidenziano una diminuzione delle quote di mercato italiane, a tutto favore di quelle francesi e tedesche, dopo l’introduzione dell’euro.

Moneta che in effetti fu indirizzata a rappresentare una sorta di marco mascherato, sia pur zavorrato dal peso di paesi più deboli. Il che ha infatti consentito una minor competitività italiana a vantaggio soprattutto di Francia e Germania, e di qui si comprende anche il cosiddetto asse franco-tedesco.

Piano franco-tedesco.

Che vi sia stato, se non proprio un piano, una sorta di asse tra Francia e Germania, teso a predominare in ambito europeo, è evidente alla luce di molteplici studi storici.

Ma la tendenza a predominare viene da lontano, ed anche la Merkel non è stata esente da una volontà egemone, che nel suo caso proviene in parte proprio dal suo personale vissuto.

Vecchio indottrinamento.

La Germania è stata caratterizzata da una volontà egemone, sviluppatasi attraverso diverse epoche storiche.

Ricordate Von Bismark, o l’impero tedesco?

Da queste basi sono derivate molteplici guerre, che si sono alternate anche nel novecento.

Ma dopo la seconda guerra mondiale, quella parte di Germania nota come DDR, satellite dell’URSS, naturalmente condivideva con la stessa URSS un rinnovato intento egemonico, sfociato nella famosa guerra fredda.

Finita l’ideologia nazista, la volontà di predominio era destinata a continuare sotto nuove forme totalitarie.

Al punto da considerare tale obiettivo sopra tutto il resto, compresa la propria sopravvivenza.

Era infatti il periodo in cui ogni superpotenza avrebbe potuto distruggere l’avversario con armi atomiche, con attacchi che non avrebbero potuto avere né vinti, né vincitori.

Ma oltre la cortina di ferro, tale volontà era talmente radicata nella classe dirigente comunista, da diventare, unitamente all’ideologia marxista, metro ed elemento regolatore di molti aspetti della vita, compresa la formazione scolastica.

In tale contesto si inserisce la Merkel che, nessuno si stupisca, ma a suo tempo partecipò al regime comunista della Germania dell’est.

Certo, molto tempo è passato da allora.

Ma una certa volontà egemone deve essere rimasta.

Un esempio sono le rimostranze contro il tentativo di Conte di far partecipare l’Eurozona ad una gestione collettiva delle problematiche economiche legate al coronavirus.

La Merkel ed il suo ex ministro della difesa, la Von der Leyen, hanno bollato come poco più che uno slogan la proposta di Conte e questione ormai superata.

A mio avviso proposta preferibile sarebbe quella dei 65 professori di economia che vorrebbero superare la creazione di nuova moneta legata al debito.

Ma, in assenza di meglio, la proposta di Conte è comunque preferibile alla situazione attuale, e tutt’altro che superati sono i problemi economici causati dal coronavirus.

Ci vuol poco a dire che siamo tutti italiani, come dice la Von der Leyen, ma poi nei fatti ognuno fa per conto proprio?

E’ questa l’Europa che vogliamo e che ha dettato legge sulle finanze degli stati membri?

Ritengo sia anche questo il significato delle parole di Mattarella, che già era intervenuto dopo le improvvide esternazioni di una Lagarde, e  dopo le altrettanto improvvide esternazioni della Von der Leyen.

A quel punto, giustamente, anche Conte ha alzato la voce, con l’appoggio di diversi paesi, anche della Francia, che pure ha mantenuto un atteggiamento altalenante.

Ma probabilmente anche Macron deve aver capito un aspetto fondamentale.

Dopo l’Italia, uno dei principali paesi concorrenti della Germania, è proprio la Francia e quindi la Germania ha comunque un interesse a rivolgere attacchi commerciali anche contro questa.

Insomma, finita l’epoca dei contrasti ideologici e delle guerre armate, si è passati all’epoca delle guerre commerciali ed economiche.

Ed è ovvio che se l’economia di un paese soffre, probabilmente le residue quote di mercato detenute da questo possono essere più agevolmente conquistate da altri paesi.

Pertanto, in un’ottica nazionalista, perché mai dovremmo essere agevolati da altri paesi?

Certo, per via dello spirito comunitario europeo, ma questo esiste soprattutto a parole, quindi occorre trarne le conseguenze.

Il nazionalismo ritorna sotto altre forme, e l’atteggiamento naturale di certi paesi non è quello di favorire certo l’Italia.

Questa la posizione della Germania e di paesi, che possiamo considerare suoi satelliti, come Austria, Olanda, e paesi nordici.

Certo, è intervenuta anche la proposta dei 65 economisti, ma probabilmente sarà lettera morta.

Non è più tempo di riflessioni e di contrapposizioni, ma di decisioni.

Eurozona al bivio. Europei solo quando conviene?

Qualcuno forse ricorderà che la Germania ha ottenuto una consistente riduzione dei suoi debiti di guerra, grazie ad un accordo basato sul concetto di cooperazione internazionale.

Accordo che agevolò non poco la Germania.

La stessa Germania non può dimenticarsene e qualcuno dovrebbe ricordarglielo.

Perché, quindi, ricorrere al concetto di cooperazione internazionale, se si tratta della Germania e paesi satelliti, e non nel caso di altri paesi?

Kohl, cancelliere tedesco  consapevole delle differenze tra stati europei aveva proposto una Germania a due velocità, con due monete, un euro del nord ed uno del sud.

Ed ovviamente regole diverse.

Se l’Europa vuol continuare ad esistere anche come comunità economica, dovrebbe probabilmente dotarsi di una diversa struttura, ad esempio di tipo federale, e non centralistica.

In modo tale da far tornare in vigore l’ idea di Kohl, con regole diverse per aree diverse, con una maggior condivisione dei problemi di tutti i paesi.

Eurozona: tagliare l’albero su cui si è seduti.

Storicamente, la guerra fredda aveva esaltato nei paesi comunisti il fine sopra ogni cosa del patto di Varsavia di conquistare il mondo.

Anche correndo il rischio della propria distruzione atomica.

Ma a volte certe dimenticanze sono fatali, come quando si taglia il ramo su cui si è seduti.

Probabilmente è quanto accaduto e tuttora sta accadendo a certi paesi.

Occorre richiamare che tra i detentori di cospicue percentuali del debito pubblico italiano vi sono diverse importanti istituzioni tedesche, banche e finanziarie.

Non agevolare la gestione di crediti, di cui si è titolari, mette a repentaglio non solo il debitore, ma anche il creditore.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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