È stata proprio la FED a rompere definitivamente gli indugi nella lotta all’inflazione

Federal Reserve

La settimana appena conclusa è stata una delle più drammatiche che i mercati finanziari abbiano vissuto negli ultimi anni. Il crollo dei mercati azionari è andato di pari passo ad un forte aumento dei rendimenti sovrani, in particolare nell’eurozona, che fa temere agli analisti il possibile arrivo di una recessione, complici l’esacerbarsi del problema inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalle principali banche centrali nell’intento di contenere l’aumento dei prezzi.

Proprio l’inflazione, da fenomeno soltanto “temporaneo”, come sostenevano i principali policy-maker internazionali, è diventata ora il principale rischio per l’economia mondiale, da abbattere ad ogni costo, anche a quello di indurre una possibile recessione di breve periodo, come sembra stia facendo la Federal Reserve negli Stati Uniti, nonostante le smentite ufficiali del suo presidente Jerome Powell.
Ed è stata proprio la FED a rompere definitivamente gli indugi nella lotta all’inflazione, rialzando i tassi di ben 75 punti base nella ultima riunione del FOMC del 15 giugno, il più grande aumento del costo del denaro effettuato dal lontano 1994, con la promessa di riportare i prezzi al target del 2,0%.

Quello lanciato da Powell è stato un vero e proprio “whatever it takes” anti-inflattivo, la promessa di fare qualsiasi cosa occorra per abbattere l’inflazione. Un atteggiamento che candida così il presidente della Fed a diventare l’erede naturale di Paul Volker, l’uomo che con le sue politiche monetarie restrittive pose fine al decennio degli shock energetici e alla stagflazione degli anni Settanta. Allora funzionò, nonostante i forti malumori della politica e degli uomini d’affari. Funzionerà anche questa volta? La sensazione è quella, anche se il rischio è quello che una recessione indotta sia il prezzo che gli Stati Uniti dovranno pagare per avere di nuovo i prezzi dei beni e servizi sotto controllo.

È stata proprio la FED a rompere definitivamente gli indugi nella lotta all’inflazione

Tutt’altra storia sta vivendo l’eurozona, e non soltanto perché la sua inflazione dipende da cause distinte da quelle degli Stati Uniti. Qui il problema è che la Banca centrale europea non può concentrarsi esclusivamente sulla lotta all’inflazione, aumentando in maniera ferma e decisa i tassi, perché ha un altro obiettivo da perseguire, quello della riduzione del “rischio frammentazione” dei debiti sovrani. Rischio che, secondo molti analisti, si sarebbe accentuato nelle ultime settimane, per via dell’allargarsi degli spread tra i paesi “core” e quelli “periferici”.

E, nonostante per molti operatori di mercato un tale rischio non esisterebbe affatto

È bastato osservare i rendimenti dei bond periferici crescere a livelli che non si osservavano da oltre 10 anni per convincere la BCE a convocare una riunione d’urgenza nel tentativo di trovare soluzioni al problema, presunto o reale che sia.

L’idea sarebbe quella di proseguire nel programma di reinvestimento dei titoli acquistati nell’alveo del Quantitative easing, concentrandosi però sull’acquisto dei soli bond periferici, creando così una asimmetria tra titoli di stato che dovrebbe essere la chiave per ridurre i rendimenti.
L’assenza di un debito comune europeo è evidentemente la causa del problema, che mette la BCE in una posizione di debolezza rispetto alle altre banche centrali, oltre che di impotenza, dal momento che la scelta di mutualizzare i debiti dei singoli stati, che rappresenterebbe la soluzione strutturale al problema, è una decisione che deve essere presa dai politici e non dai tecnici di Francoforte.

In assenza di ciò, i timori sono quelli che la Banca centrale sarà sempre costretta a rincorrere le reazioni dei mercati.

Questo nel tentativo di mettere una toppa all’andamento dei rendimenti, costantemente attaccata una volta dai falchi del nord, quanto interviene per acquistare, e un’altra dalle colombe del sud, quando non lo fa.

Dannata, in ogni caso. Un compito non facile, quindi, soprattutto considerando che la reputazione della BCE non è in questo momento a livelli molto elevati, per via degli errori di previsione fatti durante l’ultimo anno, circa la natura transitoria dell’inflazione, e a causa di continui errori di comunicazione fatti nelle occasioni più importanti, che creano allarmi sui mercati finanziari. In questa situazione arzigogolata di strumenti e obiettivi, il rischio è quello di non riuscire a raggiungere l’obiettivo della stabilità monetaria, senza il quale è la valuta unica ad essere a serio rischio.

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