Diritto tributario e presunzioni: come affrontarle?

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Oggi parleremo di diritto tributario e presunzioni. Prima di entrare nel merito di questo delicatissimo tema, divenuto sempre più di attualità, un breve aggiornamento sulla situazione degli indici azionari.

Con particolare riferimento allo S&P 500, possiamo dire che è stato centrato un primo, potenziale target di minimo, mentre sugli altri indici le quotazioni sono andate molto vicine ai rispettivi target di potenziale bottom, in base al metodo Magic box.

Valuteremo se si formeranno, a partire da questi livelli, potenziali swing rialzisti di inversione, o il cedimento dei livelli raggiunti, con estensione del ribasso in tempo e prezzo.

Ma veniamo al tema di questo articolo.

Intanto il concetto giuridico di presunzione.

Diritto tributario e presunzioni: come affrontarle?

Praticamente, consiste in una inversione dell’onere probatorio.

In base ad un diffuso ed ovvio principio giuridico, solitamente è colui che intende far valere determinate circostanze, determinati fatti, che deve dimostrarli.

Esempio: pretendo di essere creditore di qualcuno.

Devo dimostrare l’esistenza del suo debito verso di me con i mezzi legalmente consentiti.

Questo principio diviene poi fondamentale in particolari ambiti, per difendere alcuni principali diritti del cittadino, se vige un cosiddetto stato di diritto.

Ossia uno stato che contempli la tutela di alcune fondamentali garanzie.

Diritto tributario e presunzioni: ambito penale

In particolare in ambito penale.

In tal senso, la Costituzione italiana prevede la presunzione di non colpevolezza in ambito penale.

Non è il cittadino a dover dimostrare la propria innocenza.

Ma è lo stato, tramite l’azione dei Pubblici ministeri, a dover dimostrare la colpevolezza di chi incriminato.

Questo principio, però, non vige in tutti i rami dell’ordinamento giuridico.

Ad esempio in ambito tributario.

Il motivo è che sarebbe troppo difficile stanare, come si suol dire, l’evasione fiscale, se necessariamente il fisco dovesse produrre specifici elementi di prova.

Pertanto basta una serie di elementi, definiti dalle leggi in materia, per consentire agli organi di accertamento di presumere un’evasione.

Fatta salva, ovviamente, la possibilità del cittadino di dimostrare il contrario.

Un fondamentale motivo di tale impostazione, riconduce al fatto che è sufficiente, per i cittadino, per il contribuente, dotarsi di elementi di prova a proprio favore, per dimostrare che non si tratta di evasione fiscale.

Proprio in questi giorni il tema sta venendo nuovamente alla ribalta, con particolare riferimento ai trasferimenti di denaro su conti correnti.

Qualora il fisco scorga delle anomalie statistiche nei movimenti, può aprire una fase di accertamento.

Entriamo quindi nel merito dell’operatività giuridica.

Praticamente il contribuente si vede notificare un accertamento, in cui il fisco gli chiederà di rendere conto di determinati movimenti.

Diritto tributario e controlli: cosa può fare un cittadino?

Se si tratta di un soggetto imprenditoriale, solitamente tutti i movimenti dovrebbero essere motivati da documentazione scritta, con data anteriore all’accertamento.

Ad esempio contratti, restituzione di prestiti concessi a taluno, etc.

L’importante sarebbe che tale documentazione avesse data certa.

Quindi realizzata o tramite notaio, oppure con scambio di raccomandate aperte, cioè non in busta, inviate tramite servizio postale.

Ma spesso movimenti di denaro avvengono anche tra moglie e marito, conviventi, parenti, etc.

In tal caso, soprattutto se si tratta di grosse somme di denaro, sarebbe opportuno procedere come segue.

Diritto tributario e presunzioni: alcuni casi

Si redige un contratto cosiddetto di finanziamento infruttifero, soprattutto se i movimenti di denaro sono continuativi (pensiamo al caso di una coppia non sposata, per cui neppure si può dimostrare una relazione, soprattutto se entrambi non hanno la residenza nella stessa abitazione).

Perché in questi casi, invece, questi sarebbero ulteriori elementi di prova, cioè l’avere la stessa residenza o l’essere sposati o aver contratto un’unione civile, dal momento che si sa che spesso uno dei due versa denaro magari sul conto dell’altro, che effettua determinate spese.

Pensiamo al marito che versa il proprio stipendio sul conto della moglie, perché questa è intestataria del contratto di locazione.

Come dicevo, occorre redigere un contratto da cui risulti che uno dei due verserà periodicamente somme di denaro sui conti dell’altra, a copertura spese familiari.

Bisogna anche precisare che tali versamenti sono infruttiferi, cioè che su tali somme chi le versa non percepisce un interesse (altrimenti sarebbe anche questo un utile che dovrebbe essere tassato).

Nella premessa del contratto, è opportuno precisare che si tratta di attività prestata occasionalmente da privato, in considerazione dei rapporti tra le parti.

Diritto tributario e presunzioni: come affrontarle?

Questo perché qualche tempo fa la corte di cassazione ha stabilito che l’esercizio abituale di attività di finanziamento costituisce un reato, se realizzata da un soggetto privato.

Questo documento serve soprattutto in alcuni casi, ad esempio coppie non sposate, né contraenti di un’unione civile, perché in questi ultimi casi anche solo la circostanza di un’unione civile o di un matrimonio potrebbe giustificare i versamenti.

Una volta redatto il documento (in rete si possono trovare diversi fac simili di testi da usare a tal fine), è quindi opportuno recarsi in posta ed inviarlo tramite raccomandata all’altro contraente.

E’ anche opportuno che chi spedisce il contratto lo faccia in forma di proposta, e chi lo riceve lo sottoscriva per accettazione ed a sua volta lo rispedisca al mittente sempre per raccomandata.

Questo serve per dare data certa al documento, che quindi si potrà opporre al fisco, rispetto alla data dell’accertamento.

Occorre anche inserire la clausola di contratto da registrare solo in caso d’uso, cioè non soggetto ad obbligo di registrazione, tranne lo si debba usare in un processo, per evitare spese di registrazione.

E’ poi opportuno che sui bonifici sia indicata una causale, del tipo finanziamento infruttifero o contributo spese familiari.

Purtroppo viviamo in un sistema che non contempla la presunzione di non colpevolezza, se non in ambito penale.

Diritto tributario e presunzioni:elementi di prova a proprio favore

E quindi dobbiamo convivere con un sistema burocratico, in cui è opportuno precostituire elementi di prova a proprio favore.

Non perché si stia commettendo qualcosa di illecito, ma perché esistono presunzioni a nostro sfavore, previste dall’ordinamento giuridico.
Vale appena il caso di ricordare che in ambito fiscale, peraltro non valgono prove testimoniali, ma solo prove scritte.

Del resto, il ragionamento che fa il legislatore, quando istituisce tali presunzioni, è che è facile per il contribuente dotarsi di tali prove, mentre sarebbe molto difficile per il fisco accertare determinate evasioni.

E quindi nell’interesse generale della lotta all’evasione fiscale, si stabiliscono appunto elementi di presunzione a favore del fisco stesso.

Qualcuno, a questo punto, in considerazione del fondamentale principio di presunzione di non colpevolezza in ambito penale, potrebbe domandarsi: ma allora, per i reati fiscali, la presunzione di non colpevolezza non opera?

Non è così: la presunzione di non colpevolezza opera anche per i reati tributari. Infatti, anche qualora un accertamento del fisco facesse valere una presunzione di guadagno in nero, questa opererebbe solo in ambito tributario, ma non potrebbe assolutamente essere utilizzata come prova in un procedimento penale.

Pertanto il fisco potrebbe vantare una pretesa tributaria, ma questa non avrebbe conseguenze penalmente rilevanti, se basata solo su presunzioni tributarie.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

 

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