Deficit, debito e Pil: come stanno realmente le cose dopo le decisioni del Governo?

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A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

Anche in queste ore stanno imperversando dubbi e domande, cui non tutti trovano una risposta, su finanziaria e reazioni dei mercati, incentrate su questo fatidico rapporto deficit/pil al 2,4 per cento.

Ma per capire perché un deficit al 2,4 per cento desta preoccupazione nei mercati, occorre tuttavia procedere a chiarire alcuni punti, e per dare ordine alle nostre considerazioni, ecco un piccolo indice delle questioni da considerare:

  • come si è arrivati alla definizione del 3 per cento di deficit/pil come parametro dell’eurozona?
  • qual’è il vero livello giusto di deficit/pil per NON generare nuovo debito?
  • perchè Tria aveva proposto proprio l’1,6 per cento e perchè i mercati hanno reagito male, nonostante la regola del 3 per cento?
  • come ribattono i difensori dell’attuale manovra alle critiche di questi giorni?
  • cosa proietta la curva dei rendimentisulla sostenibilità del debito?

LA REGOLA DEL 3 PER CENTO

Tutti oramai conosciamo quella famosa regola del 3 per cento di deficit/pil, voluta a livello di eurozona in base agli accordi di Maastricht.

Ma come è nata a che senso ha oggi?

In realtà, la regola è nata in tutt’altro contesto. Quando poi si è deciso cosa affermare in termini di parametri economici da seguire, la si è rispolverata.

L’origine risale alla Francia di Mitterand, quando questo celebre politico decise di porre un freno alle richieste di spesa che provenivano dai diversi ministri.

Pertanto chiese a due economisti, di cui uno era Trichet, poi divenuto famoso come presidente della BCE, quale criterio adottare per mantenere costante il rapporto tra debito pubblico e pil, o meglio, il limite del rapporto deficit/pil per mantenere inalterato il primo rapporto.

E si arrivò al 3 per cento.

Ma come?

Molto semplice: moltiplicando il rapporto debito/pil per il tasso di crescita economico previsto.

All’epoca la Francia aveva un rapporto debito/pil del 60 per cento ed un tasso di crescita previsto al 5 per cento, ed il 5 per cento di 60 fa appunto il 3 per cento.

Ecco la dimostrazione:

il pil passa quindi da 100 a 105.

Il deficit è il 3 per cento del pil che, sommato al debito pregresso, porta quest’ultimo al 63 per cento.

Ora il rapporto debito/pil diviene quindi: 63/105, che continua a restituire un risultato del 60 per cento.

Ovvio che possiamo, in base alla stessa formula, domandarci anche, ad esempio, stante un determinato rapporto debito/pil e deficit/pil, quale dovrebbe essere il tasso di crescita per mantenere inalterato il parametro debito/pil a fronte di un determinato livello di deficit/pil.

Basta dividere il rapporto deficit/pil per il debito/pil, ed infatti 3/60 porta a 5 per cento, appunto il tasso di crescita previsto.

Memori di questa sorta di regoletta, quando i tecnici dovettero decidere i famosi parametri di Maastricht, senza troppo pensarci su, si disse che questo 3 per cento poteva andare bene per la media dei paesi dell’eurozona.

Ma evidentemente non è così, perché tutto dipende dai parametri di cui sopra, e che non sono uguali per tutti gli stati, né per lo stesso stato in differenti fasi storiche.

Infatti se gli altri parametri fossero diversi, diverso sarebbe anche il parametro deficit/pil da osservare.

E con questo livello, così definito, il debito/pil resterebbe uguale, si creerebbe nuovo debito al di sopra, e diminuirebbe con un deficit /pil inferiore.

Immaginiamo ad esempio un debito pubblico all’80 per cento, ed un tasso di crescita al 2 per cento.

Avremo quindi: 80 X 2%, da cui ecco un rapporto deficit/pil di 1,6, e non più il famigerato 3 per cento.

Cosa succederebbe se si osservasse, invece, in questo caso, il 3 per cento?

Dobbiamo considerare la differenza tra deficit/pil di equilibrio, in questo caso l’1,6 per cento ed il deficit/pil effettivamente attuato, cioè il 3 per cento, da cui una differenza di 1,4.

Infatti: il pil passa da 100 a 102, mentre il debito passa da 80 a 83.

Il rapporto debito/pil passa quindi dall’80 per cento a 81,3, appunto circa un 1,4 in più.

E, come si vede, ancora una volta i parametri di deficit, debito e crescita sono strettamente legati tra loro.

Ecco quindi, a questo punto, chiare le due scuole di pensiero che si confrontavano nell’esecutivo:

Tria proponeva di non sforare l’1,6, mentre, come sapete, è invece prevalsa la posizione di Di Maio e Salvini di arrivare al 2,4 per cento.

Ma perché Tria aveva proposto di non oltrepassare l’1,6 per cento?

Ancora una volta: 132 (debito/pil) X 1,2% (tasso di crescita prevista) porta a 1,584 che, arrotondato, equivale appunto all’1,6%.

Cosa potrebbe invece succedere, con un deficit/pil al 2,4 per cento.

Il pil dovrebbe passare da 100 a 101,2, ed il debito da 132 a 134,4.

Quindi: 134,4/101,2 equivale a 132,8, quindi il rapporto debito/pil sarebbe destinato a crescere di uno 0,8, esattamente, ancora una volta, la differenza tra 1,6 e 2,4.

Ecco quindi spiegata la reazione dei mercati: invece di mantenere il rapporto debito/pil almeno costante, e meglio ancora se fosse stato in diminuzione, con questa manovra è possibile si passi ad un livello di indebitamento maggiore, smentendo la direzione di marcia, già promessa da precedenti esecutivi italiani all’UE, di diminuzione del nostro debito pubblico, quanto meno in percentuale sul pil.

E quindi ecco i timori sulla sostenibilità del debito pubblico.

Come si nota, tutto questo non riguarda opinioni politiche, ma semplici numeri.

Ma come ribattono i sostenitori della manovra?

Evidentemente, dato che tutto è rapportato al pil, sperano che si attivi quell’effetto di moltiplicatore economico, che abbiamo già analizzato in altri mei articoli precedenti, e che questo determini una crescita economica che, facendo incrementare il denominatore del debito/pil e del deficit/pil, riporti in armonia i numeri della manovra.

Ma di quanto dovrebbe essere tale crescita economica, per mantenere invariato tale parametro?

Come abbiamo visto sopra: 2,4/132, da cui 1,8, invece del previsto 1,2 %.

Infatti, il pil passerebbe da 100 a 101,8 e quindi: 134,4/101,8 porta, ancora una volta, a 132.

Ma cosa prevedono i mercati sulla sostenibilità del debito?

Ancora una volta, non ha rilievo tanto lo spread con il rendimento del bund o la dinamica del btp future, in quanto tali, per comprendere la proiezione economica dei mercati, ma il disegno complessivo offerto dalla curva dei rendimenti, che nella giornata di venerdì presentava un tratto negativamente inclinato sulla scadenze a breve/medio, anche se permaneva l’inclinazione rialzista tra quelle più a breve e quelle a lungo.

Questo stava a significare che solo su alcune scadenze si ravvisavano dei problemi, ma ora addirittura la curva è migliorata rispetto a quella di un mese fa.

Possiamo quindi interpretare tale dinamica come legata ad una prima reazione, più favorevole alla scuola di chi vuole coperture immediate e non basate solo su ipotesi di crescita, in assenza delle quali tutto resta incerto.

Ma a tale reazione sta seguendo l’impatto odierno (sempre che dietro gli acquisti di queste ore non vi sia qualcuno come la BCE, anche se comunque a fronte di una decisa speculazione, sarebbe difficile pensare ad un effetto calmieratore così accentuato).

Se ne deduce che i mercati, probabilmente, confidano in un possibile effetto di crescita economica, che porterebbe il debito/pil a restare inalterato, in caso di crescita all’ 1,8 per cento.

Occorre certo un po’ di tempo per valutare quale, tra diverse scuole di pensiero, avrà ragione.

Certo, c’è da sperare che la crescita arrivi, anche perché, se poi superiore a quell’1,8 che esprime un valore di equilibrio, il debito/pil sarebbe addirittura inferiore al livello attuale.

 

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