Dalla deflazione al Pil tedesco. Scenari e prospettive Intervista a Gian Piero Turletti

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IL DATO SUL PIL TEDESCO SEMBRA AVER SORPRESO DIVERSI ANALISTI, OVVIAMENTE IN NEGATIVO: QUAL’E’ LA SUA OPINIONE?
In giro per i blog si legge un po’ di tutto, a tale riguardo, ma devo dire che in molti casi si tratta di ipotesi chiaramente infondate.
Addirittura c’è chi parla di complotto antitedesco.
A COSA SI RIFERISCE?
Secondo taluni, vi sarebbe stata una serie di misure in funzione antitedesca, a partire dalle misure economiche dirette, in primis, contro la Russia, sino alle manovre sui tassi decise da Draghi qualche tempo fa.
Le sanzioni contro la Russia avrebbero quindi determinato controreazioni russe, che si sarebbero rivelate particolarmente negative per la Germania, visto che riguardavano problemi di export proprio verso uno dei principali sbocchi delle esportazioni tedesche.
Invece i tassi tassi colpirebbero, secondo tale visione, le banche tedesche, che non saprebbero dove investire i loro capitali.
Ovviamente non è così.

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Le sanzioni contro la Russia sono state decise anche dalla Germania.
Semmai il problema è un altro.
Spesso questo tipo di sanzioni serve a poco, ed espone a controreazioni del paese sanzionato.
Quanto alle manovre dei tassi, da sempre, secondo le diverse congiunture economiche, si prendono decisioni al rialzo o al ribasso, senza che nulla di questo abbia a che fare con ipotesi complottiste.
La politica di tassi bassi è ora attuata anche per cercare di indurre le banche ad allargare le maglie del credito a favore di aziende e famiglie, piuttosto che a favore di investimenti puramente finanziari.
La realtà è che nel complesso le controreazioni russe hanno esposto non solo la Germania, ma tutti i paesi esportatori in quell’area, ad una diminuzione dell’export complessivo, che peraltro sta avendo ripercussioni in senso deflattivo.
E’ quindi ovvio che, anche a parità di numero di prodotti venduti, una diminuzione dei prezzi porti ad un fatturato monetariamente inferiore.
Anche per questo la diminuzione del PIL non deve stupire.
Ora vedremo, peraltro, quali particolari iniziative assumerà la BCE che, non dimentichiamolo, ha principalmente un obiettivo di inflazione al 2%.
Questo elemento dovrebbe peraltro convincere i tedeschi che non è più il caso di invocare il rischio inflazione, ma semmai il suo opposto, appunto la deflazione.

COMPLICE ANCHE IL DATO SUL PIL TEDESCO, I MERCATI AZIONARI HANNO CONOSCIUTO UN PERIODO ALL’INSEGNA DEL PESSIMISMO, SALVO POI RIMBALZARE.
COME SI PRESENTA, QUINDI, L’ATTUALE SITUAZIONE TECNICA?
Ovviamente, era logico pensare che il dato sul PIL tedesco non avrebbe avuto le stesse ripercussioni sulle due sponde dell’Atlantico.
A livello di indici europei, va notato che comunque la dinamica del periodo ha ricondotto a quanto avevo a suo tempo indicato: importanza del test della retta mediana del principale canale rialzista di lungo, in cui i corsi sono tuttora inseriti.
In particolare, il Dax ha rimbalzato proprio a contatto con tale supporto, pur trovandosi tuttora inserito in un canale ribassista di medio termine.
La partita, per così dire, si giocherà quindi tra la resistenza rappresentata dal bordo superiore del canale di medio e la bisettrice del canale di lungo.
Una rottura di tale livello renderà probabile la prosecuzione del ribasso sino al test del bordo inferiore del canale di lungo, vera prova del nove della tenuta del trend rialzista in ottica pluriennale.
Il Ftse Mib ha invece già rotto al ribasso la bisettrice di lungo termine, rendendo quasi certa la prosecuzione del ribasso sino al test del bordo inferiore del canale di lungo.
L’Eurostoxx, invece, è praticamente dal 2011 che inquadra le proprie quotazioni nella metà inferiore del canale di lungo termine, intrapreso dal 2009.
Anche il recente tentativo di superare al rialzo la bisettrice del  canale è fallito, e le quotazioni si mantengono ora entro un canale ribassista di medio.
Se, invece, consideriamo lo S & P 500, notiamo che le quotazioni continuano a mantenersi entro un canale rialzista di medio-lungo, conferendo all’indice statunitense, quindi, una connotazione ben diversa rispetto agli indici europei.

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