Da provare che le somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano riferibili alla società

Corte di Cassazione

Da provare che le somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano riferibili alla società. Studiamo il caso.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 9614 del 13/04/2021, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di indagini finanziarie. Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto l’appello proposto da una Snc e dai relativi soci. Avverso tale sentenza i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, deducendo, tra le altre, la mancanza di prova della riferibilità alla società dei conti correnti intestati al socio.

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La decisione

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata. Evidenziano i giudici che l’accesso ai conti intestati a terzi, tra cui anche quelli del coniuge dell’amministratore, ben possono essere giustificati da alcuni elementi “sintomatici”. Tra questi, in particolare, il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei congiunti e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili. In ogni caso, aggiunge la Corte, è da provare che le somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano riferibili alla società.

L’Amministrazione dovrà invece provare che tale “terzietà” è solo apparente, fungendo il soggetto da mera testa di legno del contribuente. In sostanza, in caso di indagini finanziarie, i rapporti di contiguità rappresentano dunque elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale. Soprattutto laddove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni e giustificazioni sulle somme prelevate o versate. Nella specie, pertanto, la decisione della Commissione Tributaria Regionale era corretta. E, a conferma della presunzione vi era anche la natura di società di persone a ristretta base sociale e il rapporto di coniugio tra i soci.

Osservazioni

L’art. 32 del Dpr. 600/73, prevede una presunzione legale, per cui sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti vanno imputati a ricavi. Questo salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari.  Nel contestare tali tipi di accertamenti, devono quindi essere dimostrati, da parte del contribuente, la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti. E questo con riferimento tanto ai termini soggettivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi.

Né, del resto, è a tal fine sufficiente una prova generica, ma è necessaria la prova analitica dell’estraneità delle movimentazioni all’attività imprenditoriale o professionale. Alla fine, pertanto, il “problema” del contenzioso che su tali tipi di accertamento riguarda soltanto una cosa: chi fornisce una prova (anche presuntiva) più verosimile.

 

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