Crescita aziendale, strategie e corsi di marketing: quale realtà?

Crescita aziendale

Le aziende, sia quotate che non, devono avere come obiettivo primario la crescita aziendale dei risultati , principalmente dell’utile post imposte.

È questo il vero traguardo finale.

Una crescita di tale risultato si tradurrà in una crescita di valore per l’impresa e gli eventuali soci o azionisti, e viceversa.

Non a caso, molti modelli econometrici si basano sul concetto di valore ed utile, ma come possono crescere le aziende, anche affrontando periodi di crisi generale dell’economia?

La view di Buffet

Warren Buffett ama dire che devi conoscere ciò su cui investi, ed oggi, applicando a nostro modo proprio questo principio, cerchiamo di dare risposta su alcune mode del momento in materia di aziende e di crescita dei risultati.

Da qualche tempo, in USA, e poi importate in Europa, talune scuole di marketing affermano una possibile e significativa, quasi certa, crescita dei risultati aziendali seguendo determinati principi, divulgati ovviamente nei loro corsi.

L’obiettivo sarebbe quello di fornire tecniche di vendita avanzate, che portino all’azienda soprattutto quei clienti che generano il maggior margine aziendale.

Volendo semplificare i principi di tale scuola di pensiero, viene soprattutto evidenziata la necessità che l’azienda si concentri su strategie di brand positioning.

In altri termini, l’azienda non dovrebbe occuparsi di una molteplicità di settori o di prodotti o servizi, ma concentrarsi su pochi prodotti, o anche su uno solo.

L’importante è, rispetto ad analoghi prodotti o servizi della concorrenza, la differenziazione.

Si tratta di acquisire clientela che percepisca elementi differenzianti, in grado di distinguere azienda e soprattutto prodotti o servizi rispetto alla concorrenza.

In questo modo, si uscirebbe dalla tradizionale lotta della concorrenza fatta a suon di sconti, per impostare strategie orientate a vendere prodotti e servizi anche di prezzo elevato.

Ma funziona questa strategia di crescita aziendale?

Stando ai sostenitori di questo orientamento, ovviamente sì, anzi.

Non esisterebbe una differenziazione di settori, da questo punto di vista, e tutte le aziende potrebbero replicare tale strategia di brand positioning.

Talora, però, bastano anche semplici ragionamenti, per rendersi conto che strategie, come quelle indicate, possono talora funzionare, ma non sempre, e sicuramente non tutti possono attuarle, né sono adatte a tutti i settori.

In sintesi, questa la mia opinione, basata sui seguenti elementi.

Di seguito una piccola scaletta di temi, per evidenziare i punti critici di questo orientamento:

  • Diversità di ruoli nell’azienda
  • Diversità di settori
  • Difficoltà nel differenziamento
  • Vittorie delle estensioni di linea.

Diversità di ruoli nell’azienda

Questo orientamento di pensiero si rivolge soprattutto a venditori.

Coloro che in azienda tengono e sviluppano i rapporti commerciali.

Ma occorre dire che non tutti i venditori aziendali ricoprono le stesse funzioni e lo stesso ruolo.

Possiamo trovare aziende, soprattutto piccole e medie, in cui sono anche e soprattutto il titolare o i soci, a vendere.

Ed è quindi ovvio che costoro, proprio in virtù del potere detenuto, possono decidere anche le strategie generali.

Se ad esempio ci si debba concentrare su pochi o molti prodotti, con quale posizionamento di mercato, sviluppando o meno determinati elementi differenzianti, e via di questo passo.

E sono proprio queste scelte, sempre secondo la scuola di pensiero di cui ci occupiamo, ad essere determinanti.

Ed ecco, quindi, l’inevitabile conclusione: ma quando a vendere sono non coloro che possono decidere questi passi, queste strategie, ma soggetti in posizione decisamente inferiore a livello gerarchico, come fanno?

Evidentemente, possono trovare anche il rifiuto di coloro cui spettano queste decisioni, e quindi altro non possono fare che continuare a vendere come prima.

Ecco, quindi, la prima falla delle strategie suggerite: richiedono di implementare determinate scelte, che spesso sono di competenza solo dei massimi vertici aziendali, e quindi, soprattutto in aziende di medie e grandi dimensioni, non sono assolutamente alla portata del singolo venditore, cui invece, per lo più, almeno teoricamente, si rivolgono i corsi incentrati su questa scuola di pensiero.

Diversità di settori

Secondo questo orientamento di pensiero, non vi sarebbe una sostanziale differenza tra un settore e l’altro, e tutte le aziende potrebbero applicare gli stessi principi di marketing.

Soprattutto uno, quello di evitare di vendere troppe linee di prodotto, per concentrarsi invece su pochi elementi.

Sarà vero?

A mio avviso, ancora una volta, evidentemente no.

E lo possiamo comprendere agevolmente con alcuni semplici esempi.

Parliamo, ad esempio, del settore ipermercati e supermercati.

La caratteristica distintiva di questo settore merceologico, è proprio quella di consentire al cliente di fare una spesa il più possibile comprensiva di tutto quello che egli cerca, dall’antipasto al dolce.

Potrebbe convenire sfrondare la pluralità di linee di prodotto offerte, per concentrarsi su taluni più specifici prodotti?

La risposta è no, e vi spiego il perché.

Certo, una di queste strutture potrebbe cercare di differenziarsi, vendendo qualcosa che altri non offrono, ad esempio un particolare tipo di carne di provenienza specifica di alcune zone.

Ma perché questa strategia sia profittevole, occorre che l’incremento di clienti, sia superiore alla diminuzione di clienti che il centro subirebbe, per aver ridotto parte del proprio catalogo.

Alcuni centri commerciali infatti svolgono proprio la funzione di consentire di trovare, in un unico posto, più linee di prodotto e servizi o prodotti diversi, una strategia opposta al brand positioning, nota come estensione di linea, e che è proprio l’elemento alla base del successo di questo tipo di aziende.

Le piccole realtà

Ma potremmo considerare un altro semplice esempio, come quello del negozio sotto casa.

Se qualcuno necessita di prodotti come quelli che si trovano, ad esempio, da un ferramenta, spesso si trova a doverne acquistare più d’uno, dal chiodo alla chiave inglese.

Ovviamente è molto più comodo acquistare il tutto in un unico posto, ed ecco, quindi, che se invece uno di questi esercizi commerciali avesse l’idea di sfrondare, come sostenuto dalla scuola di pensiero che stiamo esaminando, il proprio catalogo, si troverebbe probabilmente a fare i conti con chi, pur trovandosi un tale negozio sotto casa, poi preferirebbe andare più lontano, pur di trovare tutto quello di cui necessita in un unico luogo.

Ancora una volta, si riconferma, quindi, il principio opposto.

Non tutti i settori sono uguali, e soprattutto non tutte le aziende lo sono.

Quel che va bene per una, non è detto sia la soluzione migliore per altre.

Difficoltà nella differenziazione

Ma il vero punto cardine delle strategie che stiamo discutendo, riguarda il concetto di posizionamento.

Si tratta di affermarsi come azienda specialistica in determinati prodotti o servizi, ma differenziandosi dalla concorrenza.

In teoria, il concetto è semplice ed intuitivo, ed altrettanto intuitivamente, dovrebbe essere una strategia se non proprio sempre, almeno vincente nella maggior parte dei casi.

Se vendo qualcosa che sono solo io a vendere, in quanto prodotto o servizio specifico, se si tratta di qualcosa che abbia una certa domanda di mercato, dovrei poter battere la concorrenza ed affermarmi come leader di tale mercato.

Ma tra il dire ed il fare…

La realtà è che questa strategia poteva sicuramente essere vincente all’albore dello sviluppo e dello studio di prodotti e servizi, ma dopo un po’, quando ricerca e sviluppo già hanno portato ad un notevole livello di sofisticazione, come si può realmente differenziare?

Ad esempio, certo nel settore automotive, vi furono aziende che, prima dei competitors, studiarono particolari sistemi, come il parcheggio automatico, il radar per evitare incidenti e frenare automaticamente, ed altri ancora.

Ma oggi, considerando autoveicoli appartenenti alla stessa classe, di aziende diverse, si trovano all’incirca gli stessi sistemi e le stesse possibilità di allestimento e, guarda caso, la battaglia tra competitors si svolge invece sul prezzo, posizionando il prodotto su diversi livelli, secondo che il relativo brand automobilistico sia considerato di maggior o minor lusso.

Quindi una differenziazione non basata su vere alternative di prodotto, ma solo su un diverso valore percepito, proprio quello che la scuola di pensiero che analizziamo cerca di combattere.

Per non parlare, poi, di quei settori in cui una differenziazione non è proprio possibile, se non marginalmente.

Consideriamo l’azienda che produce, ad esempio, chiodi.

Come si differenzia rispetto ai competitors?

D’accordo, forse un’azienda potrebbe realizzare chiodi dotati di maggior resistenza, ma poi il tutto termina lì, proprio perché di veri elementi differenzianti, non è proprio possibile parlare.

Ogni tanto, in taluni settori, emerge effettivamente qualche elemento differenziante.

Mi viene in mente, nel settore dentifrici, l’ideazione della categoria biorepair.

Ma per arrivare a questo risultato si sono dovuti investire non pochi soldi in ricerca e sviluppo, cosa che non tutte le aziende possono permettersi di fare.

Inoltre, una volta adottata una particolare innovazione su un certo prodotto, è ben difficile che si possa trovarne in tempi brevi un’altra della stessa rilevanza.

Cosa succede, quindi, in tutti i casi di aziende che non possono investire su particolare ricerca e sviluppo, o in cui, per caratteristiche intrinseche al prodotto, proprio non si possa conseguire una effettiva differenziazione?

Ebbene, talora si punta sul fatto di essere tra i pochi, o di essere gli unici, ad esempio in una certa zona, a vendere un determinato prodotto o servizio.

Esempio (reale, ma non farò nomi): azienda nel settore insonorizzazione, che non dice che si occupa di qualsiasi tipo di insonorizzazione, ma solo di insonorizzazione di abitazioni private, una delle poche in una determinata area.

Alcuni elementi di debolezza

A voler giudicare criticamente tale posizionamento, non possiamo non scorgere diversi elementi di debolezza in una strategia di questo tipo.

Intanto, si tratta di posizionamento non idoneo ad una eventuale espansione dell’azienda.

Se l’azienda è realmente l’unica, in una certa area, ad occuparsi di insonorizzazione per ambienti domestici, qualora volesse poi espandersi in altre aree, non potrebbe più utilizzare tale posizionamento, per il semplice motivo che in altre aree già vi sarebbero analoghe aziende.

Quindi verrebbe meno questa sorta di posizionamento differenziante.

Altro elemento di criticità: se tale azienda si posiziona solo su tale servizio, ovviamente esclude tutti quei clienti che potrebbero invece rivolgersi alla stessa per altre esigenze, ad esempio insonorizzazione di locali musicali, discoteche, etc.

Ancora una volta, quindi, se l’eventuale incremento di clienti legato alla specializzazione non copre il numero di clienti persi, perché interessati ad altri tipi di intervento, evidentemente ci troviamo di fronte ad un posizionamento perdente.

Inoltre se la domanda di mercato relativa a quello specifico posizionamento è troppo ridotta (ad esempio perché pochi sono i proprietari di private abitazioni interessati al posizionamento), evidentemente il fatturato dell’azienda è a serio rischio.

Vittorie delle estensioni di linea

Come notiamo, se quindi la strategia degli elementi differenzianti, del brand positioning su tali elementi, non trova così frequente applicazione, diciamo, anche intuitivamente, che un motivo ci sarà.

Anzi, più d’uno, e ne abbiamo esaminato diversi nei precedenti paragrafi.

E quindi, non seguendo (e spesso, come abbiamo visto, neppure potendo seguire, anche volendo) una siffatta strategia, quali strategie hanno invece molto più spesso consentito di conseguire determinati risultati?

Ebbene, senza soffermarmi in ulteriori spiegazioni, proprio le strategie opposte, di estensione di linea.

Ovviamente, come sempre, ogni cosa va fatta nel giusto modo, ed anche questo tipo di strategia, se mal realizzato, può portare a risultati negativi.

Ma se ben implementata, tale strategia è, intanto, più agevolmente percorribile (anche perché è molto più difficile inventarsi caratteristiche differenzianti rispetto ai prodotti della concorrenza, che non il posizionarsi in diversi settori).

Inoltre i volumi di vendita che si possono realizzare sono spesso veloci e non richiedono particolari strategie di comunicazione.

Un caso esempio

Immaginiamo un’azienda che abbia realizzato significativi margini di guadagno in un determinato settore.

Può decidere di investire in altri settori, acquisendo marchi già affermati nei medesimi.

Non muterebbero le strategie dei diversi settori, ed il cliente non farebbe confusione tra settori diversi, avendo ognuno un marchio specifico.

Infine, consideriamo una strategia, in grado di incrementare il valore delle azioni, senza intraprendere alcuna specifica innovazione nel proprio marketing.

Come abbiamo visto, per arrivare ad elaborare vere differenziazioni di prodotto, spesso non si possono evitare ingenti investimenti in ricerca e sviluppo.

E non sempre, tali investimenti, sono ripagati da una risposta positiva in termini di domanda di mercato.

In alternativa, un’azienda potrebbe invece effettuare un acquisto di azioni proprie, il cosiddetto buyback.

Riducendo, quindi, il numero di azioni circolanti, a parità di risultati, o anche con risultati inferiori, il risultato per azione potrebbe incrementarsi, e senza tutte quelle incertezze, legate a strategie di marketing che, secondo i promotori dei relativi corsi, sarebbero sempre vincenti, e che spesso, invece, rischiano solo di tradursi in sogni ad occhi aperti, almeno per tutte quelle aziende che non sono nella giusta situazione per sfruttarle.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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