Cosa fare se il bambino vuole stare sempre in braccio

mamma e bambino

I primi anni di vita di un bebè sono sempre i più difficili. Soprattutto per la mamma, la quale cerca sempre di fare del proprio meglio ed essere all’altezza del ruolo.
Molto spesso infatti, sorgono delle piccole insicurezze o delle vere e proprie paure per rispondere al meglio delle proprie capacità ai bisogni del piccolo.

Complici di queste sono poi i giudizi altrui, derivanti da altre mamme o, addirittura, da donne che fanno parte dello stesso nucleo familiare.

Tra i mille quesiti che riguardano la vita dei bambini piccoli e delle neo-mamme uno è all’ordine del giorno: cosa fare se il bambino vuole stare sempre in braccio?

In questo articolo mostreremo alcuni pratici consigli e sfateremo alcune opinioni consolidate da molto tempo.

Tra pregiudizi culturali e sviluppo dei sensi

Una prassi che si è consolidata nel tempo è quella di pensare che tenendo il proprio figlio tra le braccia lo si possa viziare. In realtà questo è un vero e proprio pregiudizio sociale e culturale.
Ciò perché il bambino non tende ad abituarsi a questa nuova tipologia di contatto (stare in braccio): non è qualcosa di acquisito ma una vera e propria legge biologica.

Infatti, quando un bimbo nasce dipende totalmente dalla propria madre, poiché non è abituato a vivere al di fuori della cavità uterina.
Stando in braccio, avverte calore e percepisce la protezione della madre da un mondo che ancora non conosce.
Si tratta di un vero e proprio bisogno fisico e fisiologico. Se, poi, si considera che il piccolo non sviluppa tutti i sensi contemporaneamente ma il tatto e l’olfatto, si comprenderà ancora meglio il perché ha bisogno di affetto e dell’odore della propria mamma.

Il periodo in cui una donna porta in grembo un bambino si chiama endogestazione. Il periodo successivo viene definito esogestazione e attiene al periodo successivo alla nascita.
Nello specifico, dopo l’endogestazione il nascituro si troverà in un ambiente completamente diverso da quello in cui si è sviluppato ed era abituato.
Di conseguenza saranno necessari altri nove mesi per concludere il periodo neonata e di altri nove mesi per acquisire sicurezza e confidenza con il movimento e la parola.

Sfruttare i segni e i mezzi di comunicazione del bimbo

Bisogna ricordarsi che il bambino ha un unico strumento in tutte queste fasi per farsi comprendere: il pianto.
Dunque, è bene cercare di avere pazienza e, pian piano, si riuscirà a capire il motivo per cui il proprio figlio richiama attenzione.
Ciò è importante anche perché i bambini, fin da quando sono piccolissimi, percepiscono l’umore di chi si occupa di loro e possono reagire di conseguenza.
Se il bambino ha bisogno di qualche carezza in più durante questa fase di transizione è bene non fargliela mancare.
Attraverso alcuni studi, si è scoperto che i bambini cresciuti con più contatto, da adulti saranno maggiormente sicuri si sé poiché non bisognosi di cercare l’amore e il senso di sicurezza che non hanno ricevuto o percepito da piccoli.

Inoltre, bisognerà organizzare il distacco in maniera graduale: aiutandosi con un oggetto di transizione, come ad esempio un pupazzo.
Quando il bambino sarà attratto da qualcosa sarà più predisposto alla conoscenza del mondo circostante, distaccandosi anche lui gradualmente dalla mamma.

Rientra anche tra cosa far se il bambino vuole stare sempre in braccio l’attenzione per i dettagli.
Sta alla mamma riconoscere il momento in cui il proprio figlio è attratto da qualcosa per spostarlo dalle sue braccia al tappeto.

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