Con la guerra in Ucraina, l’UE aumenta la missione «di pace» in Bosnia Erzegovina di 500 uomini

Giorgio Fruscione

I fatti non sarebbero collegati direttamente «anche se simbolicamente assume un’importanza maggiore». Ci confrontiamo con Giorgio Fruscione, Research Fellow – Balkan Desk, ricercatore dell’area balcanica dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale). Sul tavolo, la situazione in Bosnia Erzegovina che è stata oggetto del Consiglio europeo tenuto a Bruxelles qualche giorno fa.

I fatti

Doverosa una premessa. Lo scenario in questa parte dei Balcani fa riferimento alla Repubblica di Bosnia Erzegovina formata da due entità territoriali: la Federazione di Bosnia Erzegovina, a maggioranza bosniaca-croata e la Repubblica Srpska, a maggioranza serba. Nel 2018 si è insediata una Presidenza tripartita con l’elezione di un membro croato, uno serbo e uno bosniaco. Rispettivamente Komšić Željko, Milorad Dodik e il musulmano Sefik Dzaferovic. La formazione del Governo si è avuto nel 2019 con la nomina del nuovo Consiglio dei Ministri. Le informazioni fin qui elencate, sono estrapolate dagli Atti e Documenti dell’UE. Il punto dolente è che l’entità serba «storica alleata della Russia – leggiamo dal documento – ha dimostrato in più occasioni di aspirare alla secessione». Da qui l’esacerbarsi delle tensioni interne.

Quanto c’entra la Russia

Il leader serbo Dodik da tempo si fa vanto della sua amicizia con Putin. Ad ogni modo la possibilità che la Russia possa scendere in campo con una guerra appare «abbastanza improbabile – ci dice Fruscione e prosegue – la Russia di solito non invade Paesi che non le siano confinanti ed una guerra come quella in Ucraina non sarebbe sostenibile da ambo le parti».

Tuttavia «è più probabile che continui ad esserci un’instabilità politica interna e l’incapacità di uno Stato centrale di essere funzionale. Il pericolo semmai è legato ad un effetto destabilizzante della Russia che è una dinamica già in atto da diversi anni. Si tratta di un ruolo non percepibile ad occhio nudo ma che si traduce in un atteggiamento filorusso più o meno forzato dalla leadership locale». L’attenzione alla Russia però non sarebbe tanto alla cultura sovietica quanto «al modello autocratico». Però da qui ad arrivare ad una guerra vera e propria, per l’analista dell’ISPI, appare improbabile.

Con la guerra in Ucraina, l’UE aumenta la missione «di pace» in Bosnia Erzegovina di 500 uomini

Provando ad analizzare i fatti dal basso, dalla parte della pancia della gente ci sarebbe «una spinta ad alimentare atteggiamenti secessionisti da parte del leader serbo Dodik». Ma il dato più triste che non consentirebbe di essere molto ottimisti è il fatto «che c’è una crisi nella crisi – ci dice Fruscione – ed è il forte calo demografico. Molti giovani istruiti sono andati via negli ultimi anni, quindi la parte che avrebbe potuto tenere testa con diligenza, non c’è».

Il ruolo dell’Europa

L’Unione è presente in Bosnia – Erzegovina con la missione di «peacekeeping Eufor Althea» dal 2004. L’impegno sarebbe quello di prevenire l’escalation delle mire secessioniste considerando anche il fatto che l’area considerata ha chiesto l’adesione all’UE nel 2016. «La notizia è che l’Unione ha raddoppiato la missione Eufor con altri 500 uomini. Lo scopo è puramente precauzionale. Si tratta di una misura che cerca di fungere da deterrente per future escalation. Il tutto era stato già deciso e non è una decisione presa in virtù della guerra in atto in Ucraina.

Tuttavia, adesso assume un’importanza simbolica maggiore». Chiude Fruscione: «l’idea è cercare nel futuro di salvaguardare l’area dalla possibile e ulteriore ingerenza della Russia. L’Unione intanto resta il principale partner commerciale e politico». Con la guerra in Ucraina, l’UE aumenta la missione «di pace» in Bosnia Erzegovina di 500 uomini. Rimane il fatto che dalla lettura degli atti del Consiglio UE «la Russia […] potrebbe puntare a creare un nuovo fronte di tensione nel cuore dell’Europa». Per attaccare e colpire, anche se indirettamente, i suoi nuovi nemici.

 

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