Come i pacemaker cerebrali agiscono sui disturbi involontari del movimento e chi può beneficiarne

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Un focus per capire come i pacemaker cerebrali agiscono sui disturbi involontari del movimento e chi può beneficiarne.

Quest’anno la giornata mondiale del cervello che, tradizionalmente, si celebra a Luglio, è stata dedicata al morbo di Parkinson. Una malattia dagli impatti pesantissimi per chi ne soffre e in merito alla quale sono conosciuti i meccanismi, ma non le cause. Nè, tantomeno, possono dirsi note le cure utili a debellare, alla radice, la malattia o quantomeno a prevenirla. E infatti gli unici rimedi più comunemente conosciuti e ad efficacia parziale sono di tipo farmacologico.

Purtroppo, però, stando a chi si trova a dibattersi con queste malattie fortemente invalidanti, il massimo che, ad oggi, è possibile ottenere è contrastarne i sintomi. Ma qualche cosa si sta muovendo in affiancamento alle cure farmacologiche. Si tratta cioè di tecniche chirurgiche sulle quali sono stati portati avanti degli studi, su larga scala. Vediamo quindi di capire come i pacemaker cerebrali agiscono sui disturbi involontari del movimento e chi può beneficiarne.

I pacemaker cerebrali

Le citate tecniche chirurgiche consentono di erogare un fascio di stimoli elettrici in particolari zone del cervello. Una tecnica che, tra gli addetti del settore, va sotto il nome di DBS, ovvero Deep Brain Stimulation. Dunque una stimolazione profonda del cervello, che nelle intenzioni di medici e ricercatori dovrebbe servire se non a debellare, quantomeno a rallentare la progressione della malattia.

Semplificando al massimo, una volta posizionati gli elettrodi nella parte profonda del cervello, si procede col creare un collegamento a un generatore di impulsi. Tale generatore funziona in modo similare ad una “pila” di un pacemaker; da qui il nome evocativo di “pacemaker cerebrale”.

Ed è a questo punto che sopraggiunge l’apporto del neurologo il quale provvederà a “tarare” la stimolazione elettrica. Questo intervento esterno servirà a bloccare i messaggi “sbagliati” con cui il cervello malato causa i terribili disturbi del movimento, come i tremori tipici del Parkinson.

Il progetto “Impact”

In tutto questo c’è però un “ma”, vale a dire gli effetti collaterali legati alla metodica. Ed è qui che viene in soccorso il progetto “IMPACT” di cui si fa menzione sulla home page della Commissione Europea. Infatti, stando a quanto riportato sulla pagina, i fondi stanziati e gli anni di ricerca maturati  hanno consentito di muoversi in una duplice direzione. E cioè, non solo nel contrastare questi effetti collaterali, ma anche nel portare la DBS ad un livello di qualità superiore.

Quali pazienti sono candidabili alla DBS

Stando a quanto riferiscono i neurochirurghi dell’Università Campus di Roma e del Policlinico Gemelli, la DBS, ad oggi, è riservata ai casi più “importanti”. Vale a dire ai pazienti che non rispondono più alla terapia farmacologica o a quelle persone per le quali gli effetti collaterali dei farmaci raggiungono livelli invalidanti.

Una corsia preferenziale che, stando ai risultati sin qui raggiunti, promette di migliorare e di molto la vita dei pazienti. Rilevante anche il fatto che l’impianto dei neurostimolatori è stato incluso nei LEA, ovvero nei “Livelli Essenziali di Assistenza”. Ciò significa che le prestazioni e i servizi connessi alla patologia in narrativa, rientrano tra quelle che i cittadini hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale. Ecco quindi come i pacemaker cerebrali agiscono sui disturbi involontari del movimento e chi può beneficiarne.

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