Caffè dolce o amaro: la storia e il valore del chicco

caffè

Il caffè è una delle bevande più amate dagli italiani. Non c’è giorno che non prendiamo un caffè. Ma nonostante sia una delle abitudini più in voga nel Belpaese non siamo i maggiori consumatori: la Finlandia è al primo posto seguita da Svezia e Irlanda. Per l’Italia solo il nono posto con una spesa annua pro-capite di circa 260 euro. Dopo il petrolio, il caffè è il prodotto più commercializzato al mondo.

Il mercato del chicco da caffè

Il 2019 è stato contrassegnato da affari d’oro per il chicco da caffè: il costo per bag si è attestato a 138 dollari. Ma ora si è ritornati su valori più accettabili e in linea: 115 dollari.

Il costo   da cosa è condizionato

Negli ultimi anni il caffè ha attraversato una crisi dovuta ai prezzi di mercato bassi con i produttori in seria difficoltà che non riuscivano a vivere solo con i proventi del raccolto. Sono 125 milioni le persone che dipendono dal caffè per sopravvivere. Domanda ed offerta fanno il bello e il cattivo tempo. Il prezzo del caffè è condizionato allo stesso modo da questi due valori come altre materie prime.

Troppa produzione ha effetti devastanti

L’eccessiva offerta  fa calare il prezzo da pagare ai produttori. E per il 2020 le previsioni indicano un aumento del raccolto brasiliano del 13% corrispondente a 56 milioni di sacchi. Una bilancia che non trova il giusto equilibrio. A far pesare da un lato o dall’altra c’è anche il fattore climatico.

Clima e mercati

Il raccolto dipende molto dalla fattore climatico e dalla intensità delle piogge. A questo si va ad aggiungere in prospettiva il mercato della vendita sul medio e lungo periodo. A condizionare è la Cina che nel 2020 potrebbe presentare un boom di richiesta e stravolgere il valore.

Prezzo di mercato vs prezzo di vendita al dettaglio

Negli ultimi anni comprare caffè costa di più ma per i coltivatori non è cambiato nulla in fatto di guadagni. Il costo dei chicchi di caffè influisce pochissimo rispetto ad imposte, alla filiera e al marketing. A fare maggiori guadagni sono multinazionali e intermediari. I piccoli produttori devono sottostare al prezzo imposto.

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