Borse USA: analisi fondamentale e proiezioni econometriche. Il futuro sembra segnato

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Nei precedenti articoli abbiamo visto che il recente top, sia sulle borse europee, che su quelle USA, era stato oggetto di proiezioni riconducibili a tecniche diverse.

Anche per il Dax torneremo su questo tema evidenziando, in un prossimo articolo, quali fossero le proiezioni di magic box, coincidenti peraltro con tecniche di Gann, a conferma di quanto già abbiamo visto a proposito dei cicli asimmetrici.

Ma per quale motivo economico le borse, in particolare la borsa USA, sono ribassate?

Esiste una specifica motivazione economica, e se sì, quali obiettivi sono prevedibili sullo S & P 500 da un punto di vista econometrico?

Iniziamo con il dire che esistono diversi parametri, o ratios, di analisi fondamentale, che non ci consentono, in quanto tali, di definire dove si formerà un top o un bottom, ma indicano situazioni di sopra o sotto quotazione di un indice, rispetto al valore che dovrebbe avere.

Di seguito due grafici evidenziano come le borse USA siano da tempo su quotazioni fortemente a premio, rispetto alle medie storiche.

S & P 500/ SALES RATIO

WILSHIRE 5000/ GDP RATIO

Il primo dei due grafici evidenzia il rapporto tra lo S & P 500 ed il fatturato delle aziende che compongono l’indice.

Come notiamo, il grafico, che parte dal 2002, ha raggiunto un massimo che ancora non era stato toccato dallo storico.

Analoga situazione per il ratio Wilshire 5000/gdp.

Il Wilshire 5000 è un indice che rappresenta 5000 aziende a stelle e strisce, quindi un numero di società decisamente superiore a quello ricompreso nel più noto S & P 500.

Tale indice viene confrontato con il prodotto interno USA, e si preferisce usarlo rispetto al confronto con lo S & P 500, proprio perché rappresentativo di un maggior numero di aziende.

Anche in questo caso, è evidente la quotazione nettamente a premio, su valori prima mai raggiunti dallo storico.

Ovviamente, tutto questo significa, certo, una situazione di alert ma, come dicevamo, non una tempistica per un top o un bottom.

Allora, a cosa servono tali indicatori?

Intanto, come filtri per segnali di lungo termine sugli indici, cioè come filtri che incrementano l’efficacia di potenziali segnali di inversione del trend di lungo termine.

Quando le borse cedono, se il top, come in questa fase, parte da una situazione di netta quotazione a premio, è decisamente più probabile che i segnali di cedimento siano validi, ed idonei ad indicare inversioni di lungo.

Inoltre, un rallentamento della situazione economica, o primi dati in controtendenza rispetto al ciclo espansivo, rischiano appunto di far passare la situazione da risk on a risk off, in presenza di quotazioni a premio.

In altri termini, prima le borse salivano, pur con quotazioni a premio, perché si pensava che la quotazione sul momento a premio, potesse poi essere assorbita da un incremento dei denominatori dei diversi ratios, quindi ad esempio proprio dal prodotto interno lordo, piuttosto che dalle vendite.

Ma ovviamente, se invece i dati vanno in controtendenza, succede che allora gli operatori prendono atto, anche piuttosto bruscamente, che le quotazioni non sono più sorrette da fondamentali idonei, e si passa infatti ad una situazione di avversione al rischio azionario, o risk off.

Pare quello che si sta verificando sugli indici USA.

Infatti da tempo la curva dei rendimenti segnalava un restringimento del differenziale tra tassi a breve ed a medio/lungo, proiettando quindi il passaggio quanto meno ad una fase di rallentamento economico, segnale quindi di ulteriore alert che qualcosa poteva cambiare.

A questo punto, perché proprio ora gli indici stanno cedendo?

A parte alcuni precisi motivi legati a particolari setup di spazio e tempo, prescindendo da questi, occorre notare che il settore immobiliare USA ha dato segnali decisamente ribassisti, tanto che uno specifico indice composito di società del settore pare aver già anticipato, sui grafici, una rottura di supporti di lungo relativi agli indici principali. Inoltre, anche se in crescita, i dati sul Pil Usa hanno rallentato, come una macchina che accelera, ma meno del previsto.

E se gli utili aumentano meno del previsto (peggio ancora se si contraggono) ovviamente non sono più in grado di sostenere determinate quotazioni.

Ma quanto dovrebbero salire gli utili aziendali, per evitare il collasso?

E quale dovrebbe essere il valore intrinseco dello S & P 500 e delle Borse USA?

Una fase di risk off determina che gli operatori definiscano un valore di equilibrio dell’indice in termini di ratio, principalmente il rapporto prezzo/utili moltiplicato per le stime degli utili attuali e prospettici.

Questo metodo consente, infatti, di comprendere quali potrebbero essere i target del ribasso sullo S & P 500 (su altri indici lo calcoleremo eventualmente, in prossimi articoli).

Il procedimento che seguiamo è quindi il seguente: definizione del p/e di equilibrio in base al modello econometrico cosiddetto Fed modificato.

Quindi moltiplicheremo il p/e di equilibrio, così trovato, per la stima degli utili correnti e di quelle prospettiche, aggiungendo quindi un ulteriore 30 per cento di sconto, visto che solitamente i bottom di borsa si formano non tanto, in un mercato bearish, sui livelli di fair value, ma su livelli solitamente scontati rispetto al valore intrinseco.

Il modello econometrico cosiddetto Fed modificato parte dal postulato che i prezzi delle azioni siano in equilibrio con il rendimento obbligazionario dei bond decennali, come espresso dalla curva dei rendimenti dei titoli di stato, quando il rapporto e/p, inverso del p/e, esprime un tasso pari a quelli dei bond decennali, cui aggiungere un 5 per cento di premio per il maggior rischio, considerato insito nell’investimento azionario.

Attualmente il tasso dei bond decennali USA è pari al 3,08 per cento.

Quindi dobbiamo considerare un tasso composito pari all’8,08 per cento.

Proseguiamo dividendo il numero 1 per questo tasso, espresso in forma decimale, quindi 1/0,0808, da cui otteniamo 12,37.

Questo è il p/e di equilibrio.

Per quale valore di utile per azione va moltiplicato?

Consideriamo 3 ipotesi:

  • utile attuale
  • utile incrementato nella misura minima del range stimato da un panel di analisti
  • utile incremento nella misura massima del range stimato da un panel di analisti.

Questo range va dal 10 al 30 per cento.

L’attuale utile per azione medio dello S & P 500 è 122,7.

Incrementato del 10 per cento diventa 134,97.

Invece incrementato del 30 per cento otteniamo 159,51.

Otteniamo quindi, come valori corrispondenti ad un p/e di 12,37:

1517

1669

1973.

Applicando, quindi, a questi valori uno sconto del 30 per cento, otteniamo:

1061,9

1168

1381.

Interessante notare, a mio avviso, come alcune di queste potenziali proiezioni corrispondano quasi perfettamente ai ritracciamenti percentuali dai massimi, che hanno coinciso con i bottom dei precedenti mercati orso di lungo termine.

Lo S & P 500, infatti, perse circa il 50 per cento nella fase ribassista tra il 2000 ed il 2002, e circa il 57 per cento tra il 2007 ed il 2009.

Ora, considerando il top a 2940, avremmo valori attorno a 1264 e 1470, che possono approssimare alcuni dei target sopra previsti.

Ma tramite questo modello econometrico, possiamo anche stimare di quanto dovrebbero incrementarsi gli utili, per considerare le attuali quotazioni di borsa su valori di equilibrio, ed impedire alla borsa di continuare.

Se infatti il prezzo di chiusura di venerdì, 2658, corrispondesse ad un p/e di 12,37, allora l’utile per azione dovrebbe essere 214,87, quindi dovrebbe rappresentare una crescita di circa il 75 per cento rispetto ai valori attuali.

Come abbiamo detto le stime di crescita al massimo raggiungono ipotesi decisamente inferiori, fermo restando che diversi analisti prevedono, invece, una contrazione dei risultati aziendali.

Anche a fronte di queste considerazioni di analisi fondamentale, la sorte dei listini parrebbe, quindi, già segnata.

Borse USA: quale futuro?

Ovviamente le proiezioni econometriche, di cui sopra, non coincideranno, probabilmente, con le stime di fair value che potranno essere elaborate in corrispondenza di un bottom definitivo di lungo termine conseguente ad un mercato bearish, dovendosi considerare quali saranno l’utile medio per azione dell’indice e il tasso dei bond USA decennali in un tempo futuro. Ma servono comunque a comprendere le motivazioni per cui, da un punto di vista economico ed econometrico, le borse sono probabilmente destinate a scendere, più che a salire, rispetto alla fase economica che si va prospettando.

Un’obiezione che si potrebbe muovere a tali ragionamenti è che l’economia per diversi analisti è ancora prevista in una fase crescente.

Tuttavia questo non esclude che la borsa possa scendere.

In tal senso, mi ricollego a quanto, alcuni articoli fa, dicevo a proposito dei cicli di lungo termine di Kondratieff.

Esistono diversi elementi che fanno pensare, infatti, che l’economia stia entrando nella fase definita estate di Kondratieff.

Le caratteristiche di questa fase sono le seguenti:

Inflazione e tassi crescenti ed elevati, crescita economica e borsa a valori deflazionati, cioè calcolati al netto dell’inflazione, in ribasso.

Non tutti gli economisti sono concordi nell’individuare i punti di svolta delle diverse fasi, ma solitamente vengono riconosciute analoghe fasi estati, ad esempio, nei periodi dal 1961/1968 al 1980/1981.

Come dicevo, probabilmente diversi elementi fanno ritenere che stiamo entrando nuovamente in una fase con analoghe caratteristiche, quindi con possibile crescita economica e borsa che, a valori nominali, potrebbe anche alternare fasi rialziste e ribassiste ma che, al netto dell’inflazione, avrebbe ritorni negativi o comunque decisamente inferiori rispetto ad altri asset.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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