Benessere, statistiche e diritto ai tempi del coronavirus

coronavirus

Molteplici le questioni che l’emergenza coronavirus pone di questi tempi, in vari ambiti dello scibile umano.

Questioni finalizzate a cercare di contenere il virus e tra loro intrecciate, in un mix di aspetti sanitari, medici, epidemiologici, ma anche giuridici.

E’ ad esempio evidente che le limitazioni alla libera circolazione delle persone sono provvedimenti sanitari, che dovrebbero rispondere ad indicazioni medico scientifiche, ma pongono anche notevoli problemi in materia di tutela di diritti, e di effettiva rispondenza a criteri di tipo epidemiologico.

Ecco quindi una serie di questioni relative al coronavirus, che coinvolgono diversi di questi aspetti:

  • Statistiche epidemiologiche: quanto affidabili?
  • Mascherine: sottovalutate nella loro funzione preventiva?
  • Sistema immunitario: sempre utile stimolarlo o rischio per la salute?
  • Tracciamento: giuridicamente lecito e sino a che punto efficace?

Statistiche: i numeri quadrano?

Effettivamente no, dobbiamo riconoscerlo.

La curva epidemica ipotizzata, proiettata nel futuro, per tentare di cogliere soprattutto il punto di svolta del contagio, la sua dinamica, si sta allontanando da quanto previsto. Almeno nel senso di un allungamento dei tempi.

I motivi possono essere diversi, ma principalmente riconducono ad una circostanza.

I numeri ufficiali comunicati dalla protezione civile, potrebbero non essere statisticamente attendibili.

Infatti si tratta pur sempre di numeri desunti da un campione, cioè da un numero limitato di casi, rispetto all’universo della popolazione.

E, come capita durante consultazioni elettorali, potrebbe capitare che il campione manchi di rappresentatività statistica. Cioè che le dinamiche dell’universo della popolazione siano ben diverse da quanto si verifica nel campione.

Peraltro alcuni numeri sicuramente non vengono considerati, in particolare il numero relativo ai contagiati effettivi. Per conoscerlo bisognerebbe fare un tampone a tutta la popolazione, nonché considerare le cause di tutte le morti, comprese quelle dei defunti a casa.

Benessere, statistiche e diritto ai tempi del coronavirus: le statistiche

Lo spiega molto bene l’autore di uno studio al riguardo. Franco Peracchi spiega che “il numero dei casi in questo momento non è pari al numero degli abitanti del Paese attualmente infettati, ma solo a quello di coloro che sono risultati positivi al test.

La quantità di persone attualmente infettate è probabilmente maggiore di un intero ordine di grandezza. Inoltre, la proporzione fra i casi positivi e il numero di persone infettate in ogni momento dato non va considerata costante, perché i criteri e l’intensità dei test variano nel tempo e fra regioni”.

Inoltre si pone il problema dei falsi positivi e dei falsi negativi.

In altri termini, il problema di test che non danno conferme di contagio, pur in presenza di soggetti contagiati, e che viceversa potrebbero indicare come contagiate persone che invece non lo sono.

Al riguardo occorre ad esempio considerare che non tutte le persone contagiate sviluppano anticorpi rilevabili tramite determinati tipi di esame, ad esempio quelle affette da taluni problemi ematologici.

Mascherine: sottovalutate nella loro funzione preventiva?

Per certi versi le ormai fatidiche mascherine testimoniano una probabile contraddizione rispetto alle norme che limitano gli spostamenti.

Si è molto parlato delle mascherine, delle loro diverse tipologie e si è spesso affermato, da varie fonti, che quelle effettivamente utili per evitare il contagio sarebbero solo le FFp2 o FFp3.

Date le dimensioni del virus, le altre mascherine, quelle usate da dentisti e chirurghi, per intenderci, lo lascerebbero passare.

Soprattutto utili, quindi, per non infettare, più che per difendersi.

D’accordo, ma c’è un qualcosa che non quadra.

Le norme che limitano gli spostamenti sono state dettate dall’esigenza di limitare i contagi.

Ed allora io mi domando: ma non potevano, e non possono essere quindi utili anche le mascherine, sia pure quelle meno protettive, di tipo chirurgico, proprio per prevenire, contenere la diffusione del contagio? Ma non solo da parte di chi sintomatico, visto che tra i contagiati vi sono anche gli asintomatici.

Che poi non si faccia per la scarsità delle mascherine disponibili, non può rappresentare una scusante.

Pertanto, invece di dire di usarle solo a chi presenta sintomi, io direi che tutti coloro che ne dispongono, dovrebbero usarle, proprio in considerazione di quanto sopra.

Necessità degli strumenti

Certo, servirebbero soprattutto nei presidi sanitari, e tuttora ne mancano. Ma soprattutto a suo tempo, nella fase iniziale di diffusione del contagio, non sarebbe stato più opportuno evitare le possibilità di contagio anche con tale strumento?

Se è vero che anche le comuni mascherine chirurgiche possono limitare la diffusione del virus, forse non si sarebbe arrivati a certi numeri.

E’ semplicemente un mio dubbio, senza aver la pretesa di possedere alcuna verità al riguardo, e lo sottopongo al lettore come tale.

Sistema immunitario: sempre utile stimolarlo o rischio per la salute?

Tiene banco in questo periodo anche la questione del possibile potenziamento del nostro sistema immunitario.

Ma occorre andarci piano, perché le questioni connesse sono molteplici, e occorre ben conoscere le implicazioni mediche.

Non ultima la questione delle malattie autoimmuni.

Cosa sono?

In alcuni casi il nostro sistema immunitario non riconosce alcune componenti del proprio organismo come tali, ma come se si trattasse di elementi estranei.

Ecco, quindi, che il sistema immunitario le attacca, come fossero elementi estranei da combattere, e di qui varie patologie, come il lupus eritematoso, o l‘artrite gottosa.

E’ infatti stato accertato che diverse patologie presentano una componente autoimmune, anche quelle che si consideravano legate ad altre eziologie.

Come la gotta.

Certo, sempre legata, quest’ultima, ad iperuricemia eiperuricosuria, cioè eccessiva produzione di acido urico presente nel sangue e nelle urine, che origina poi sali corrispondenti, gli urati, ma patologia nella quale pare che un certo ruolo sia rivestito anche proprio da componenti riconducili ad autoimmunità.

Cosa succede, quindi, se una persona affetta da siffatte patologie viene sottoposta ad elementi che incrementano la risposta immunitaria?

Ovviamente ne risentirà negativamente, con una risposta autoimmune ancora più sproporzionata.

Benessere, statistiche e diritto ai tempi del coronavirus

Pertanto sostanze non necessariamente usate come farmaci, ma come integratori, in grado di stimolare risposte immunitarie, potrebbero causare gravi problemi, in questo tipo di pazienti.

Ma il guaio è che lo stesso covid 19 ha anche una base autoimmune, a quanto pare.

Tra i principali organi colpiti ovviamente i polmoni, con un’infiammazione interstiziale, che ha una base autoimmune, ma anche il cuore.

In altri termini, il covid 19 stimola una reazione anche del sistema immunitario, che però in parte sbaglia bersaglio, andando a colpire organi come l’apparato respiratorio e cardiaco.

Ecco, quindi, che questa patologia presenta aspetti complessi e se il sistema immunitario potrebbe prevenirla in diversi casi, non è tuttavia esclusa, in base alle conoscenze attualmente disponibili, una risposta errata in un secondo tempo, su base appunto autoimmune.

Anche i farmaci da utilizzare sono quindi diversi, e non è detto che gli stessi farmaci possano essere adatti in tutti i casi.

Probabilmente non è un caso che farmaci di tipo reumatologico sortiscano effetti positivi. Diverse tra queste patologie, non solo la gotta, hanno una base autoimmune, che causa processi infiammatori analoghi a quelli presenti in caso di contagio.

Pertanto farmaci di un certo tipo, utili in questo caso, potrebbero servire soprattutto contro quelle forme infiammatorie, che presentano, anche nel caso del coronavirus, una analogia con tale componente causale.

Tracciamento dei contagiati?

Un tema strettamente legato al contenimento della malattia, più che alla sua cura, è quello del possibile tracciamento di chi risultato positivo e dei relativi contatti.

Se l’uso di determinate soluzioni, in grado di stimolare il sistema immunitario, si pone quindi a livello anche di prevenzione medica, In questo caso si tratta soprattutto di prevenzione sociale ed epidemiologica.

Il principale modello di riferimento è, in questo caso, la Corea del Sud. Ha implementato un sistema di controllo a distanza dei movimenti, acquisendo i dati da molteplici fonti, telecamere, smartphone, carte di credito.

Se ne discute anche in Italia, ma sarebbe legittimo un metodo di questo tipo?

La questione della limitazione della libertà di movimento è più agevolmente definibile, visti anche alcuni articoli della costituzione. Articoli che espressamente prevedono provvedimenti in tal senso, se necessari alla tutela della salute. La stessa cosa, però, non può dirsi di un tracciamento.

Soprattutto perché in questo caso vengono in considerazione diritti diversi, di cui ai tempi della costituente si parlava poco o nulla, come il diritto alla privacy.

Espressamente di tale diritto nella costituzione non si parla, ed a livello di legislazione ordinaria, pur essendovi espresse disposizioni di legge, sarebbe inutile affrontare la questione. Visto anche che nuove norme potrebbero derogare ad altre precedentemente approvate.

A livello costituzionale esiste un generico riferimento da parte dell’art. 2 della Costituzione, che parla espressamente di diritti dell’uomo.

La privacy vi rientra?

Probabilmente la questione non appare determinante, sotto tale profilo. Anche un diritto rilevante, come la libertà personale, è stato considerato comprimibile a fronte di una situazione, come la pandemia. Quindi si farebbe riferimento a tale situazione per ritenere comprimibile anche la privacy, se non altro in termini di analogia legis ed analogia juris.

In altri termini, si potrebbe ravvisare una stretta analogia tra la situazione espressamente disciplinata dalla Costituzione in materia di libertà di movimento e la situazione di eventuale limitazione della privacy (analogia legis). O ravvisare una sorta di applicazione di un principio generale, quello della salute, come principio e diritto prevalente rispetto ad altri (analogia juris).

Taluni ritengono che la privacy non rientrerebbe in tale problema, in quanto l’acquisizione dei dati avverrebbe su base anonima. Ma non è propriamente così.

Il problema della privacy

In Corea, ad esempio, taluni dati hanno consentito di individuare specifici soggetti, la cui identità è venuta a conoscenza di altre persone, e quindi esiste anche il rischio conseguente di una sorta di caccia all’untore.

Non bisogna infatti dimenticare che i dati servono anche per evitare alle altre persone di entrare in contatto con determinati soggetti, contagiati o potenzialmente tali. Ne consegue che facendo presenti taluni spostamenti dei medesimi, si possa addivenire ad una loro specifica individuazione, come persone espressamente identificabili, almeno da parte di taluni, con nome e cognome.

Ci troviamo quindi di fronte ad una probabile violazione, in caso di implementazione di un siffatto sistema di monitoraggio, di taluni fondamentali diritti. Ed a nulla vale il rilievo di una acquisizione anonima di tali dati, visto che proprio l’esperienza sudcoreana, cui ci si vorrebbe riferire, evidenzia come il rischio di precisa individuazione dei soggetti interessati sia tutt’altro che teorico.

L’efficacia del sistema

Peraltro l’efficacia di un siffatto sistema si presta a rilievi critici, analoghi al tema della limitazione di movimento.

In questo secondo caso, le maglie per evitare i rigori della legge sono davvero molteplici, a fronte della possibilità di addurre a giustificazione situazioni, quale l’acquisizione di beni necessari.

Chi potrebbe contestare una persona che poi, anche solo fittiziamente, si rechi ad esempio in farmacia, per far figurare che effettivamente intendeva acquistare tali beni?

Nel caso del tracciamento, intanto occorre dire che non tutti sarebbero tracciabili con mezzi tecnologici di un certo tipo.

Non tutti hanno uno smartphone e, volendo mantenere non rilevabili eventuali spostamenti, un soggetto potrebbe benissimo anche solo non usare carte di credito, o non portare con sé alcuno strumento, come uno smartphone o un cellulare. Basterebbero tali accorgimenti, per rendersi non tracciabili.

Necessaria la collaborazione del singolo cittadino

E’ quindi, quello del tracciamento, un sistema che richiede una collaborazione attiva della popolazione.

A meno di non voler far indossare a tutti un braccialetto elettronico, ma questo sarebbe probabilmente troppo. Una effettiva violazione di alcuni diritti fondamentali sarebbe difficilmente non ravvisabile, in tal caso, a fronte di una evidente imposizione, analoga a quella che devono subire coloro che sono sottoposti agli arresti domiciliari.

Possiamo quindi dire che probabilmente, la miglior soluzione richiederebbe alcuni accorgimenti.

Ad esempio l’utilizzo di determinate app, che si stanno studiando, ma solo dietro espresso consenso informato. Un consenso comprensivo di avvisi sul fatto i dati vengono usati anonimamente, ma che esiste il rischio dell’individuazione del singolo soggetto.

La tecnologia a supporto

A quel punto, solo dopo aver letto espressamente tali avvisi, il soggetto darebbe eventualmente il proprio assenso, e scaricherebbe l’app.

Nel caso non si possedesse uno smartphone, si potrebbe comunicare, anche in via telematica, un consenso ad essere tracciati in altro modo. Ad esempio tramite la carta di credito, ma ancora una volta solo dietro lettura di appositi avvertimenti e fornendo un consenso informato.

Diversamente, volendo imporre un tracciamento obbligatorio sul coronavirus, comunque questo sarebbe facilmente evitabile. Come spiegato sopra, volendo acquisire i dati con strumenti come un cellulare o la carta di credito.

A meno di voler imporre l’utilizzo del braccialetto elettronico, che tuttavia sarebbe quasi sicuramente incostituzionale, oltre che di difficile attuazione, se dovesse ricomprendere la totalità o maggior parte della popolazione.

A cura di Gian Piero Turletti, autore di “Magic Box” e “PLT

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