Banche: è giusto continuare ad aggregarsi

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Da anni ormai ci viene ripetuta la “tiritera” che è fondamentale che anche in Italia le banche si aggreghino per creare poli competitivi a livello globale.

E così sono scomparse decine e decine di piccole o anche grandi banche locali che avevano una propria storia, una propria dignità , un radicamento , una ottima conoscenza del territorio e soprattutto garantivano posti di lavoro.

Nel momento in cui per le banche la ricerca degli utili annuali da conseguenza di un lavoro svolto correttamente ed in servizio alla clientela è diventata , sempre di più, una ossessione, si è pensato che fondendo e raggruppando le piccole banche intorno a un ceppo di banca di grandi dimensioni, il processo di formazione degli utili e la competitività coi competitors internazionali sarebbero stati obbiettivi più facilmente raggiungibili.

Nella realtà la competizione internazionale ha sì consentito ad alcuni player italiani di espandere enormemente il proprio raggio di azione, sappiamo bene però quale è stata la dinamica degli utili bancari negli ultimi 10 anni!

Talvolta assenti, talaltra costruiti su attività speculative e non sul tradizionale lavoro di banca.
In termini di patrimonio netto invece possiamo dire che si è realizzata una catastrofe.

Senza volere prendere come unico esempio quello a me più vicino, ovvero cos’è è capitato agli azionisti di banca Agricola Mantovana che hanno avuto in cambio azioni MPS…possiamo dire che genericamente le fusioni delle banche per gli azionisti si sono rivelate nel tempo una fregatura, spesso colossale.

Sì, alcune, banche di medie dimensioni ,specie nel nordest, sono saltate comunque, ma la differenza l’ha fatta la maggiore  rigidità dell’approccio nei controlli più che una reale difformità di situazione rispetto alle banche più grandi. E questo sia chiaro riguardo a  banche italiane ma non solo…Deutsche Bank in testa!

Se poi la mettiamo sotto il profilo sociale del benessere dei territori questa politica è stata davvero disastrosa con migliaia di posti di lavoro saltati per aria.

Ora le banche si lamentano perché pare che il governo voglia colpirle sul piano fiscale… se però si ragionasse, qualche volta  anche in termini di utilità sociale e dunque a 360° sugli effetti di ogni scelta, si scoprirebbe che, conservando le banche locali, oltre a una migliore conoscenza dei territori con minore incidenza di crediti accumulati negli anni fuori da ogni criterio di valutazione dei rischi (ovviamente si parla specialmente del pre-crisi sub-prime mentre per l’attualità ci riferisce alle esposizioni accumulate all’estero), si avrebbero avuto altri ulteriori benefici.

Un maggior numero di dipendenti comporta,  è vero, un mancato immediato taglio al  flusso di costi e col ridimensionarsi della forbice tra tassi attivi e passivi qualcosa andava fatto, ma con tagli generalizzati e spesso nemmeno meditati si è privato il territorio di ricchezza. Così facendo le stesse banche hanno perso raccolta non tanto o non solo riferendosi a quella dei dipendenti stessi a ma a quella derivante dai benefici che gli stessi portavano sul territorio con il proprio tenore di vita ed i consumi nella parte medio alta delle famiglie.

Se poi vogliamo vederla da un ‘altra angolazione dobbiamo anche rilevare come il mutamento filosofico  tra quella che era originariamente la natura delle banche popolari e delle piccole casse rurali rivolte ai soci ed al territorio in una logica che si può definire mutualistica possiamo ben capire quanto abbia inciso l’abbandono delle filosofie originarie per farsi trasportare dalla mera attrazione del profitto.

Sono in numeri dei corsi azionari a risponderci e non sono certo i raggruppamenti delle azioni per riformulare prezzi con meno decimali a poterci ingannare.

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