Ammalarsi per coronavirus è un infortunio e non malattia

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Già quando venne presentato il decreto Cura Italia il Governo disse subito che un eventuale contagio da Covid-19 sul luogo di lavoro ara da considerare come infortunio. Per la precisione tutto questo è contenuto all’art. 42, comma 2, che sancisce chiaro come ammalarsi per coronavirus è un infortunio e non malattia.

Le prime perplessità

Tuttavia all’indomani del decreto i dubbi che si sollevarono furono molti. Ad esempio si disse: come fare a stabilire, con ragionevole certezza, che il contagio è avvenuto proprio sul luogo di lavoro? Per non parlare poi del fatto che sui moduli di infortunio dell’Inail occorre indicare anche l’orario (del contagio). Perplessità più che legittime, alle quali ha risposto lo stesso Istituto. Che ad esempio in merito all’orario del contagio ha precisato che anche un certificato inoltrato in maniera non proprio ortodossa trova comunque accoglimento. È infatti sufficiente – afferma l’Inail – compilare il modulo anche solo nei campi che il lavoratore reputa possibili di risposta certa.

La conferma del presidente Inail Bettoni

Nelle ultimissime ore è inoltre giunta un’ulteriore conferma da parte del presidente Inail, Franco Bettoni, a favore della tesi contenuta nel Cura Italia. Bettoni ha affermato che le malattie virali, tipo il Covid-19, vengono considerate una causa violenta di malattia e quindi riconosciute come infortunio. E di conseguenza non considerate allo stesso modo della malattia.

E ne ha spiegato il perché. Per il presidente Bettoni i medici Inail, pur non muovendosi nel campo della certezza assoluta, hanno comunque tutte quelle competenze e gli strumenti adatti per sciogliere moltissimi dubbi. La loro capacità di analisi delle prove e delle evidenze empiriche li portano a pronunciarsi con elevati gradi di attendibilità. Anche su fatti (il contagio, appunto) che sono avvenuti giorni o settimane prima. Infine Bettoni ha aggiunto che nel caso in cui un lavoratore dovesse contrarre il coronavirus sul luogo di lavoro e poi decedere, essa sarebbe stata considerata a tutti gli effetti come una vittima da lavoro.

La possibile diatriba col proprio datore di lavoro

Non sono da escludere a priori possibili divergenze di vedute col proprio datore di lavoro in merito al “dove” ci si è contagiati. Ad esempio nei casi in cui un imprenditore sostiene il contrario di quanto dichiara il suo dipendente. Che succede in questi casi? Per l’Inail molte di queste divergenze non hanno fondamento più di tanto. I referti redatti dal loro corpo medico sono in grado di appurare tempi, modi e luoghi dell’infortunio in questione (il contagio). L’Inail infatti al riguardo raccoglie tutte le forme di prove che siano possibili ottenere. Quanto maggiori e migliori esse sono, più risulterà la qualità del referto finale, anche in merito alle dicitura che riguarda la fonte del contagio.

La misura vale per tutti

Quindi ammalarsi per coronavirus è un infortunio e non malattia.  Agli inizi questo orientamento fu riservato solo per il personale sanitario, considerato che erano coloro che si ammalavano maggiormente. La natura della loro attività li esponeva a dismisura infatti al rischio contagio. Questo nonostante le numerose contromisure che gli stessi sanitari erano in grado di mettere in piedi. Coi giorni però l’Inail si è resa conto del fatto che gli operatori sanitari non erano gli unici ad essere esposti al rischio contagio. un esempio per tutti? Il personale dei negozi di generi alimentari. Per questo motivo dunque la misura è stata definitivamente estesa a tutte le altre categorie di lavoratori.

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