10 anni dalla crisi subprime: è stata superata?

ProiezionidiBorsa

Sabato 15 settembre è stata la strana ricorrenza dei 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers ed in generale dall’esplosione delle crisi cosiddetta dei mutui sub-prime. Ovvero mutui concessi a persone con scarsa capacità di reddito al fine di aumentare velocemente il volume d’affari della banche e consentire a i manager di raggiungere più rapidamente i propri target operativi e conseguenti premi milionari al vertice e  a cascata fino all’operatore di sportello,  ma via via sempre più ridotti.

In realtà i prodromi della crisi si erano già registrati nel 2007 per i forti segnali di rallentamento del settore immobiliare che si erano accavallati alle prime difficoltà di banche anche europee, vedasi Paribas. Questo ci consente di dire che seppur la data passata alla storia è stata quella del 15 settembre, ovvero il giorno del fallimento di Lehman,la crisi era in divenire già dal 2007 e soprattutto non era nata solo in America e le sue cause non erano solo americane.

A distanza di 10 anni gli effetti di quella crisi restano visibili ed attivi seppur con profonde variazioni sul tema in termini di impatto sulle economie dei vari paesi.

La conseguenza più triste di quel passaggio storico è stata la sempre maggior concentrazione in ogni angolo del pianeta delle grandi ricchezze in poche mani, l’abbattimento dei ceti medi e, conseguentemente, sacche di popolazione sempre più estese sotto la soglia di povertà, anche nei paesi più evoluti.

Molti hanno paragonato la crisi Sub-prime a quella del ’29. Al di là delle peculiarità storiche universamente riconosciute la comunanza tra le due grandi decadenze economiche  sta solo nel comune denominatore lessicale: il termine crisi.

Per il resto, da un punto di vista degli elementi portanti ( o forse sarebbe meglio scrivere distruttivi) dei due crolli si è trattato di situazioni completamente diverse.

Nel 1929 si è avuta la prima vera recessione importante a livello industriale, di produzione per intenderci. Oso dire che da allora di ’29 ce ne sarebbero stati almeno atri 10 se le banche centrali (con le manovre monetarie) e i politici (con manovre fiscali e ahimè spesso con interventi militari) non avessero ben presto appreso la lezione su come affrontare le normali recessioni industriali senza farle arrivare alla soglia del collasso raggiunta nel 1929.

Nel 2008 la crisi è nata invece esclusivamente in ambito finanziario, che poi abbia tracimato anche in ambiti produttivi è stata conseguenza non causa. A parte resta il discorso sull’immobiliare comunque gestito nelle dinamiche di credito in modo dissennato e che quindi facciamo rientrare comunque nell’alveo della finanza globale e dei suoi eccessi tendenti a sostenere una crescita nella realtà insostenibile.

La novità implicita in questa crisi ha dunque poi portato a profonde differenze nel modo di gestirla ed affrontarla. Queste diverse modalità di gestione della crisi sono quanto mai evidenti a tutt’ oggi. A  distanza di dieci anni infatti vi sono paesi che sono da tempo in una fase di effervescenza economica che hanno riportato la disoccupazione sotto controllo e corredano questo fondamentale step sociale con dati macro-economici brillanti e costanti come nelle fase storiche migliori delle loro economie.

Altri invece annaspano con livelli di disoccupazione record  e di conseguenze con elementi di ciclo quasi costantemente in fase critica o comunque ampiamente sotto la media delle nazioni chene sono uscite meglio.

In sostanza riassumendo temi già parzialmente trattati vi sono state diverse modalità con cui affrontare la crisi di liquidità generata dai sub-prime e dalle avventatissime mosse con cui la banche per accelerare i processi interna avevano trasformato i propri crediti tramite obbligazioni, se non derivati, in nuovi asset.“Titoli” volti dunque costruiti su crediti spesso già inesigibili in fase di cartolarizzazionefinalizzati a rendere più rapida ed agevole la nuova raccolta e i conseguenti nuovi impieghi. Tutta roba poi rimasta senza quotazione e finita nel denominatore comune di asset tossici.

Gli USA, principali mentori di come si ricompone una ripresa, hanno creato liquidità a iosa liberando le banche sia dai bond governativi sia da tutto il mondo dei titoli tossici. Non è mai stato chiaro se con dollari stampati a perdere , se con parimenti emissione di debito , se le banche prima o poi dovranno , almeno in parte, restituire…sia come sia ha funzionato. La prudenza della FED nel rialzare i tassi, nonostante l’euforia che da qualche anno accompagna borse e ciclo macro USA, fa pensare che buona parte dagli interventi non abbiano avuto il carattere della definitività.

La Gran Bretagna ha nazionalizzato e notizie su emissione di debito in pari i misura alle sterline necessarie a risanare le banche non si hanno con certezza, ma anche qui la ricetta ha funzionato.

La Svizzera forte di un solido e attivo bilancio federale, ha strigliato le banche, ordinato qualche fusione , anche qui non vi sono notizie certe tra stampa di franche ed emissione di debito che infatti non c’è (trovate voi dei bond svizzeri?). Fatto sta che anche la confederazione elvetica ha superato la crisi brillantemente.

Senza divagare per tutto il mondo rimane l’Europa in particolare l’area UE. Qui si sono acquistati solo bond governativi e tutte le manovre dalla BCE hanno visto come uniche controparti le banche.
Be’ qua il fallimento della Grecia , ora tenuta in vita artificialmente, la disoccupazione record in Spagna , Portogallo ed Italia contrapposte alla rinascita dell’economia tedesca, la dicono lunga come la BCE e le normative affidate a politici di diversa caratura tra i vari paesi abbiano portato ed anzi amplificato differenze strutturali tra i vari paesi membri. Proprio questa “strutturalità” deve però fare riflettere sul fatto se la casa comune europea può davvero essere la barriera da cui fare schermare la possibilità che nuovi 2008 si verifichino.

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