A cura della Dott.ssa Giovanna Maria Cristina Sambataro
Lo scorso mercoledì l’Istat ha pubblicato i dati sul tasso di disoccupazione, sceso all’11,4% rispetto al mese di giugno. Ciò non è dovuto a un maggior numero di occupati, bensì all’aumento degli inattivi, coloro che non studiano e non cercano lavoro.
L’Italia, nonostante sia uno dei paesi più ricchi, continua a mostrarsi come maglia nera in un contesto internazionale. Se si confrontasse la realtà italiana rispetto al Nord America e all’Europa occidentale, i profitti delle imprese locali sono cresciuti a livello esponenziale. Lo stesso vale per quanto riguarda il numero di occupati.
Negli ultimi anni, invece, le riforme italiane attuate non hanno fatto altro che aumentare la disoccupazione, il lavoro nero e soprattutto demotivare i giovani non solo a intraprendere gli studi, ma anche a cercare occupazione.
Cosa accadrà se si perseguirà questa strada?
Di questo passo i giovani saranno condannati a essere più poveri dei loro genitori. Ciò desta preoccupazione sulle ripercussioni che assisteremo fra un decennio o più se non si pone rimedio a tale problema. Le conseguenze saranno terribili soprattutto a livello personale. Chi non lavora si ritroverà in uno stato di poca autostima, mancanza di equilibrio interno e poca serenità. Tutto ciò dovuto al fatto di appartenere a un momento storico dove ogni settore non funziona come dovrebbe.
Perché il governo non inizia a prendere in seria considerazione tale problema? Come i giovani possono attivarsi affinché questa situazione si capovolga?
Sentirsi esclusi da questa lotta vuol dire condannare sé stesso e la comunità a non esistere e a far scegliere agli altri il proprio destino. Il motore portante è la forza d’animo. Non lasciarsi andare ad un sistema che non funziona. Lottare, invece, singolarmente affinché la situazione cambi, il governo capisca che i giovani italiani non sono rassegnati al proprio destino, ma vogliono costruire un futuro uguale a quello dei genitori.
